the Fuzzy Grunge Revival

20 anni, o anche qualcosa di più. 20 anni fa noi eravamo adolescenti mentre sulla West Coast qualcosa di grosso bolliva in pentola. Non in California ma nel freddo stato di Washington, nella città di Seattle, che già aveva contribuito a sconvolgere la storia del rock dando i natali a tale Jimi Hendrix. 20 anni fa noi eravamo ragazzini e a Seattle qualcosa di sommerso stava per venire prepotentemente a galla. Le band si chiamavano Mudhoney, Soundgarden, Alice in Chains, Screaming Trees, Nirvana, Mother Love Bone. I nomi dei protagonisti, oggi, sono noti: Bruce Pavitt (fondatore della Sub Pop), Stone Gossard e Jeff Ament, Chris Cornell, Mark Arm, Mark Lanegan e i fratelli Conner, Greg Dulli, Courtney Love, Layne Staley, Kurt Cobain, Andrew Wood. Queste persone, con il loro talento, erano destinate a cambiare il mondo della musica rock in tutti i suoi aspetti: il suono, i contenuti, il mercato. Seattle Sound. Grunge.

La fanzine Subterranean Pop #2
La fanzine Subterranean Pop #2

Facciamo un rapido riassunto musicale dei fatti. Nel 1979 Pavitt fonda la fanzine Subterranean Pop a Olimpia, Washington; le uscite della rivista (che presto sarà rinominata Sub Pop e in realtà avrà vita breve) sono corredate da compilation in musicassetta. Negli anni ’80 Sub Pop diventerà una rubrica di The Rocket, quotidiano di Seattle, e con la pubblicazione della celebre compilation Sub Pop 100 inizierà la svolta che la porterà a diventare un’etichetta discografica, processo che si coronerà con l’uscita nel 1986 dell’EP Dry as a bone dei Green River di Mark Arm, Stone Gossard e Jeff Ament. E qui si conclude la preistoria del Grunge. Il reperto che è giunto fino a noi dai Green River si chiama Swallow my pride.

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Dopodiché i Green River si separano e da questa separazione vengono fuori due fra i più gloriosi gruppi della scena di Seattle: Mark Arm crea i Mudhoney, quintessenza del Grunge e della sua anima indie e lo-fi, mentre Gossard e Ament danno vita ai Mother Love Bone con il frontman Andrew Wood, perfettamente a suo agio nel ruolo di (prossima) rock star. Stardog champion.

I Mudhoney invece sono l’emblema del Seattle Sound; Mark Arm ha inventato ll termine Grunge e ha scritto la canzone che può esserne considerata il manifesto: Touch me I’m sick.

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Siamo alla fine degli anni ’80, il mondo del rock è dominato dal metal di band come Iron Maiden, Metallica e Megadeath e il fenomeno del momento sono Guns ‘n’ Roses e Bon Jovi. A Seattle però quel sommerso è sempre più in procinto di venire a galla e la scena musicale trasuda talento: Soundgarden, Screaming Trees, Afghan Whigs, Alice in Chains, Nirvana. Mai sentiti? Gruppi legati tra loro a doppio filo: concerti, jam sessions, collaborazioni, spesso anche legami personali. È il caso di Andrew Wood e Chris Cornell, compagni di stanza e amici fraterni. 20 anni fà, il 19 marzo 1990, a pochi giorni dall’uscita prevista di Apple, album di esordio dei Mother Love Bone, Andrew Wood muore per overdose. Un’epoca si chiude irrimediabilmente.

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Andrew ha solo 24 anni ed è l’anima glam di Seattle che nessun altro è stato poi in grado di interpretare. Per me Andrew Wood rimane la più grande rock-star-to-be di sempre. I più devastati dalla sua scomparsa ovviamente sono le persone che gli erano più vicine, i Mother Love Bone e Chris Cornell. Per elaborare il lutto utilizzano quello che conoscono meglio: la musica, The Temple of the Dog.

1991, i tempi sono maturi. 3 dischi: innanzitutto Nevermind dei Nirvana  ma anche Badmotorfinger dei Soundgarden e Ten dei Pearl Jam (nati dalle ceneri di Mother Love Bone e Temple of the Dog) .

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In meno di un anno dalla sua emersione il Grunge ha conquistato il mondo; grazie al loro talento questi musicisti di Seattle sono riusciti a far convivere generi distanti come punk, pop, metal, glam. Il successo commerciale lo si deve a eventi come il festival itinierante di Lollapalooza ma soprattutto ad un’emittente televisiva, MTV, e ad un video dei Nirvana, Smells like teen spirit. Kurt Cobain, suo malgrado, diventa l’icona pop della sua generazione. “Here we are now, entertain us.”

Da quel momento non ci sarà tanto spazio per le etichette indipendenti: le major iniziano a corteggiarsi le band e a scandagliare gli USA in cerca dei nuovi Nirvana, dei nuovi Pearl Jam. Intanto da Seattle continuano a venir fuori grandi dischi come Dirt degli Alice in Chains o Sweet Oblivion degli Screaming Trees.

“Goodbye mama, we’ve taken this too far.” L’epidemia Grunge dilaga per tutti gli Stati Uniti: dalla California era arrivato Eddie Vedder a completare la line-up dei Pearl Jam, nella sua stessa città, San Diego, si formano gli Stone Temple Pilots, (che i maligni sospettano essere una band costruita a tavolino dai discografici). Californiani anche i Pavement, gruppo a dire il vero piuttosto collaterale rispetto al fenomeno Grunge. Si formano invece a Chicago gli Smashing Pumpkins, uno dei gruppi più invece più rappresentativi di tutto il periodo.

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L’apice della notorietà del Grunge arriva forse nel 1994 e il fanatismo dilaga. Per quanto il livello qualitativo delle nuove uscite rimanga eccellente (Vs. dei Pearl Jam, Siamese Dream degli Smashing Pumpkins, Superunknown dei Soundgarden, In Utero dei Nirvana) tutta la scena rischia di perdere la sua natura e la sua identità. Da movimento underground a fenomeno pop in un attimo. Il salto è enorme e a farne le spese è la persona che fra tutte è la più esposta, l’icona Kurt Cobain. “Some die just to live” (Pearl Jam – Immortality).

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Se nel 1994 il Grunge in effetti è in fin di vita la sua agonia durerà ancora 4/5 anni. Prima del 2000 comunque tutte le band (ad eccezione dei Pearl Jam) si scioglieranno, non prima però di averci regalato qualche altro piccolo capolavoro come Mellon Collie and the Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins o Dust degli Screaming Trees. La lunga agonia del Grunge si conclude definitivamente nel 2002 assieme a quella di un altro dei suoi protagonisti più tormentati, Layne Staley, voce degli Alice in Chains. Staley era stato anche il perno dei Mad Season insieme a McCready dei Pearl Jam e Mark Lanegan degli Screming Trees.

Da allora è stato un continuo, e spesso piuttosto fallimentare, tentativo di riciclarsi. Esempio emblematico è Chris Cornell, passato dall’eccellenza dei Soundgarden alla mediocrità degli Audioslave fino a piombare nell’indecenza dei suoi lavori solisti. Tutto questo non ha niente a che vedere con mr. Mark Lanegan, sempre stellare sia da solista (per la Sub Pop, naturalmente) che di spalla a gruppi come i Queens of the Stone Age.

Da qualche tempo però stiamo assistendo perplessi/curiosi al fenomeno del revival. A dare inizio alle danze sono stati gli Smashing Pumpkins che si sono riuniti già nel 2007 con disco (pessimo) e tour mondiale (ottimo).  Un anno dopo hanno seguito l’esempio gli Stone Temple Pilots il cui nuovo disco, tra l’altro, è di prossima uscita. Sempre nel 2008 la Sub Pop ha tirato fuori, per celebrarne i 20 anni, una deluxe edition di Superfuzz Bigmuff dei Mudhoney che, mai ufficialmente scioltisi, hanno ricominciato a suonare un po’ quà un po’ là (sono anche passati da noi lo scorso anno). Adesso invece, nel 2010, un nuovo disco per le Hole (chi avrà scritto i pezzi per Courtney Love questa volta?), la gloriosa reunion dei Pavement e adesso l’annuncio che i Soundgarden saranno fra gli headliner a Lollapalooza. Senza contare che, come sempre, i Pearl Jam sono in tour (da noi al Heineken Jammin Festival). Direi che abbiamo abbastanza elementi per affermare che ci sia un fenomeno in atto.

[audio:http://atlantidezine.altervista.org/wp-content/uploads/2010/04/05-Superunknown.mp3|titles=05 Superunknown]

Seconda giovinezza? Non credo proprio. Nostalgia? Un po’. Soldi? Certamente. Ma una cosa è certa, come quello dei Pavement anche il concerto dei Soundgarden è da non perdere e, per noialtri che 20 anni fa eravamo ragazzini, ci sarà un sacco da divertirsi. Sperando che i prossimi a riunirsi siano gli Screaming Trees.  Meanwhile, get fuzzy.