Povera e nuda vai, libertà di stampa

L’Antistoria della libertà di stampa in Italia di Rinaldo Boggiani è uno di quei libri sconfortanti in cui alla fine il protagonista muore. Tranquilli, nessuno spoiler. Che la vicenda non sia destinata a un happy ending è più che evidente fin dalle primissime battute : “La stampa sarà libera, ma soggetta a leggi repressive”. Citazione dal Proclama allo Statuto Albertino del 1848 (il primo embrione della nostra attuale Carta costituzionale), con cui si diede il la ad un’infinita e ramificatissima attività legislativa sulla stampa, tutta basata su quello che Boggiani chiama (efficacemente) il “principio rinnegante”: ovvero, concedere una cosa con una frase e immediatamente attenuarla, o ridurla, o escluderla con la successiva.

Mentalità tutta italiana, che nel corso dei circa cent’anni di storia legislativa ripercorsi dal libello ritroviamo esplicata a piene mani dai legislatori di qualsivoglia contesto storico. Sarà forse una banalità affermare che la storia si ripete: eppure, nessuna significativa differenza è dato riconoscere, nelle legislazioni sulla “libertà” di stampa, tra l’Italia pre- e post-unitaria; o, ancora più nel dettaglio, tra la legislazione monarchica del Regno di Sardegna e le misure adottate dal neo-unificato Stato italiano, come tra le leggi speciali fasciste e il dettato costituzionale della Repubblica, con il suo machiavellico art. 21 che mette insieme piena libertà di stampa, sequestri preventivi di polizia giudiziaria, censura su ciò che è contrario al buon costume. Il tutto normato non dalla Carta costituzionale, ma da una “legge speciale” la cui esistenza, sancita all’interno della Carta stessa, consente all’arbitrio sempre mutevole del legislatore di esercitarsi in pratica senza limiti a seconda delle esigenze del momento.

Sembra quasi che ciò che davvero ha sempre unificato il nostro Paese, fornendo a Nord e Sud, regimi e democrazia, destra e sinistra un indiscutibile punto d’incontro, sia proprio la volontà di concedere alla stampa il curioso concetto di “libertà controllata”. Bizantinismi teorici, artifici machiavellici, applicazioni, disapplicazioni, revoche e re-istituzioni delle stesse norme fondamentali si susseguono nel corso dei decenni, sopravvivendo a cesure istituzionali, governi e rivoluzioni, vere o presunte. Il vecchio principio, insomma, che tutto deve cambiare perché ogni cosa resti la stessa. Proprio questo il dato che stupisce maggiormente: leggi alla mano, Boggiani ci dimostra come il nostro ordinamento sulla stampa, così come le norme a fondamento del tanto discusso Ordine dei giornalisti, ripetono, senza nemmeno dissimulare, le leggi emanate dal Fascismo in merito alla stampa; le quali a loro volta ripetevano (ovviamente esacerbandole) le direttive dei precedenti Statuti pre-unitari, con la loro alternanza di prevenzione e repressione, e soprattutto quello pontificio, da cui tutto era partito.

Da Pio IX alla Repubblica, passando per Carlo Alberto, Mussolini, Amicucci, resta costante l’intento di evitare in ogni modo l’affermarsi anche in Italia dell’anarchica situazione anglo-americana, dove tutti, semplicemente, possono scrivere ciò che vogliono. Ma così verrebbe meno quell’attento, spesso sottile, mai del tutto interrotto processo di imposizione di un’opinione unica e “vera” che sostituisca la fallace e pericolosa opinione pubblica con qualcosa di istituzionalmente approvato, e conforme alle direttive di uno Stato accentratore.

Lo diceva già Civiltà Cattolica, il giornale dei gesuiti fondato nel 1850, che nel suo primo editoriale contrapponeva esplicitamente l’ondivaga opinione del popolino (“il solo e vero giornale del popolo dev’essere il Catechismo”) a quella proveniente dal Centro, che in quel caso non si chiama più opinione, ma Verità. E certo non secondaria fu la spinta all’elaborazione di una legislazione sulla stampa non proprio liberale data dalla Chiesa, la quale paragonava l’opinione pubblica alla donna (“animale domestico e dalla natura designato a vivere vita casalinga”) e tuonava contro il controllo sulle notizie esercitato in tutta Europa “dai Giudei”.

Ma se Mussolini diceva che la stampa italiana è la più libera del mondo! Tutte dietrologie, allora, quelle di Boggiani? Anche volendo, sembra difficile dirlo. Nel libro (indirizzato ai giovani, con l’augurio di essere buoni lettori per poter diventare buoni elettori), l’autore relega la propria voce a semplice intervento fuori campo. A parlare sono gli stessi documenti: leggi, statuti, interventi dei protagonisti. A loro il compito di sviluppare le tappe del viaggio della protagonista, fino al requiem sul suo “cadavere caldo”. Un viaggio a ritroso, si direbbe. Ecco perché non è possibile farne una storia, ma si è dovuto scriverne, appunto, un’“antistoria”: vale a dire, una storia al contrario (non di un’evoluzione, ma di una regressione), o meglio, la storia di un’assenza, di qualcosa che, in fondo, non c’è mai stato (e ora c’è meno che mai). Davvero vogliamo continuare a far finta di nulla?

Titolo: Antistoria della libertà di stampa in Italia
Autore: Rinaldo Boggiani
Editore: Edizioni Associate
Dati: 2009, 150 pp., € 11,00

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