In gita con lo zio Boonmee nei Giardini della Preesistenza

Quando, prima di andare a vedere un film, leggo la rassegna stampa e scopro che, secondo qualche critico, il suddetto film “o lo si ama o lo si odia” un brivido mi percorre la schiena e avverto il sinistro presentimento che potrei rientrare nella seconda categoria. Superando questi inquietanti timori sono andata a vedere Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti, film vincitore della palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes.

Nella sala, minuscola, vedo poca, pochissima gente. Tutti, come me, intrepidi spettatori pionieri del cinema tailandese. Come sarà il cinema tailandese?
È difficile rispondere univocamente e chiudere tutto in una comoda frase fatta. Se dicessi che ho amato questo film non sarebbe onesto, ma se dicessi che l’ho odiato sarebbe ingiusto e altrettanto falso.

Forse si tratta di un problema culturale: è possibile che le strutture narrative orientali siano diverse da quelle a cui siamo abituati e con cui, volenti o nolenti, misuriamo l’efficacia di una storia. Insomma, agli occhi perplessi di uno spettatore europeo, le avventure dello zio Boonmee risultano un po’ sconclusionate.
C’è da precisare che, come al solito, il doppiaggio italiano non aiuta affatto ed è fastidioso e monocorde. Ma è evidente che proporre un film tailandese in lingua originale sottotitolato avrebbe risvegliato nella memoria inevitabili echi fantozziani.

Il film racconta gli ultimi giorni di vita di Boonmee, simpatico uomo di mezza età afflitto da un’insufficienza renale, metafora o somatizzazione della sua incapacità di depurarsi, ripulire il suo karma. Boonmee, infatti, si affligge per le vite umane che ha dovuto recidere durante il suo servizio militare; il suo senso di colpa si rivolge persino ai numerosissimi insetti che, da agricoltore, ha dovuto sterminare tramite pesticidi.
Trovandosi al limite tra una vita che sfugge e una morte sempre più vicina, Boonmee diventa un catalizzatore di spiriti, sia amichevoli che ostili.

Le scene dell’incontro tra Boonmee e il fantasma della sua moglie defunta (a cui mostra premurosamente le foto del suo funerale) e il loro figlio scomparso – trasformatosi per sua scelta in uno spirito zoomorfo – ci trasportano in un universo fiabesco che sembra lontanissimo dal nostro e, a dire il vero, anche molto più interessante; un mondo in cui i confini tra credibile e incredibile sono completamente ridefiniti così come quelli tra la vita e la morte, l’umano e il non umano.
Ma questi momenti lirici, paradossali e affascinanti sono diluiti in lunghe sequenze la cui informatività è talmente bassa che ci si chiede se, effettivamente, ci fosse bisogno di mostrarle o se il film non avrebbe, invece, guadagnato con qualche taglio qua e là. Sarà stata colpa dell’ora un po’ tarda (consiglio: niente film tailandesi all’ultimo spettacolo!), ma di quelle interminabili scene in cui si guida, si cena, si guarda la tv in silenzio avrei fatto volentieri a meno.

Quando si immerge nell’onirico e nel fiabesco Apichatpong Weerasethakul dà il meglio di sé e rivela la sua caratura da grande autore. La sequenza, dall’inconsueto erotismo, che vede protagonista una principessa sfigurata, un suo schiavo e lo spirito di un lago è una piccola perla cinematografica.
Così come è facile capire la fascinazione visiva che Weerasethakul ha esercitato sui giudici di Cannes attraverso alcune soluzioni davvero ammirevoli, come l’inquietante figura degli spiriti della foresta che attendono minacciosi Boonmee (uno dei quali è proprio suo figlio) o le riprese subacquee dei tesori della principessa offerti in dono al lago.
Di Weerasethakul colpisce, soprattutto, la capacità di trasformare all’improvviso un film che parla di persone comuni e della loro vita ordinaria in una finestra sul magico, semplicemente grazie all’uso delle immagini, dei colori e delle luci.

Infine Boonmee, dopo aver sfiorato la memoria delle sue passate incarnazioni e addirittura la visione di quelle future, si spegne. Cosa ne sarà del suo spirito possiamo solo ipotizzarlo.
Devo confessare che alcuni passaggi della storia mi sono risultati poco chiari ma questo, naturalmente, potrebbe essere solo un limite individuale della mia intelligenza. La buona volontà, però, giuro, ce l’ho messa tutta.
Insomma, di consigliarvelo con un sorriso non me la sento, ma se avete voglia di sperimentare qualcosa di diverso e, magari, di rimanere sorpresi, zio Boonmee e i suoi parenti vivi, morti o a metà strada tra le due condizioni potrebbero essere una buona scelta.

Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti
(Loong Boonmee Raleuk Chaat): ESP/TH/DE/GB/FR
di: Apichatpong Weerasethakul
con: Thanapat Saisaymar, Jenjira Pongpas, Sakda Kaewbuadee
BIM, 90 minuti
nella sale dal 15 Ottobre 2010