Alla ricerca del tempo scomposto, rimpiazzato oggi da un semplicistico culto dell’istante

Che cosa è infatti il tempo? Chi potrà spiegarne facilmente e in breve la natura? Chi potrà comprenderlo attraverso parole adeguate o col pensiero? Eppure cosa è che, nel parlare possiamo raccontare di più facile e di più noto? E sicuramente comprendiamo, quando del tempo parliamo, e anche comprendiamo, quando di esso ascoltiamo qualcosa, mentre un altro ne parla. Cosa è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so; tuttavia affermo con sicurezza di sapere che, se nulla passasse, il tempo passato non esisterebbe, e, se nulla ci venisse incontro, non ci sarebbe un tempo futuro; se poi niente ci fosse dinanzi a noi il tempo presente non ci sarebbe.  (Agostino, Le Confessioni)

A che servono i convegni psichiatrici-psicoanalitici? A fare la passerella, la conta dei presenti e ritrovare vecchi colleghi dispersi? Oppure a cumulare gli indispensabili crediti formativi? Ogni ipotesi è possibile. Certo è che in qualche occasione servono per assistere a un fenomeno di  psicomagia: si scoperchia la calotta cranica e si vede in azione la mente di filosofi camuffati da medici e psichiatri. È accaduto al convegno di psichiatria e psicoanalisi, “Tempo lineare e tempo ciclico in psicopatologia”, organizzato dall’associazione culturale Dialogos (presieduta dal professor Pietro Bria, psichiatra e psicoanalista che ha aperto i lavori) che alimenta non le fiamme dell’inferno ma della vivacità dialettica. Si è parlato di tempo e il tempo si è concentrato nell’ascolto empatico, forse si è riusciti persino a vivere il presente facendosi coinvolgere dal  racconto sul tempo della vita. Se non lo si pensa il tempo, non lo si argomenta, non lo si racconta, non lo si professa, se lo si misura e basta orologio alla mano o polso, cosa ne resta del tempo?  Solo la cornice di un vuoto galleggiare nell’istante idolatrato nel tempo presente.

Può considerarsi cosmico chi ha modo di superare l’istante ed entrare nel tempo della riflessione.  Qui di seguito qualche spunto di riflessione allora, tra i tanti interventi psicomagici del convegno. Il professor Bruno Callieri, psichiatra fenomenologo ha in mente Agostino secondo il quale  il tempo è un’estensione dell’anima quando racconta il suo tempo e ricama una trama. L’anima vive di attesa. Il tempo è attesa. Conta la speranza dell’attesa.”La speranza presuppone l’attesa, ma non è sempre necessario l’inverso”. Ci sono le attese del quotidiano. Finché “quando le attese fanno naufragio, solo allora emerge l’attesa fondamentale, come la purificazione di tutte le attese illusorie legate all’accadere che non è storia”. La cronaca fatta di sequenze di attesa non è ancora la storia vera di ognuno.

Mentre la nostra storia “è l’intreccio tra l’accadere e il vissuto, tra ciò che ci tocca in sorte e la risposta personale”. Siamo molto vicini alla soluzione di un mistero? Giammai. Per sapere la risposta bisogna andarla a cercare ogni istante, nel sottomarino della coscienza. Le aspettative sono il tessuto del nostro vivere. Callieri si riferisce anche a chi aspetta Godot, a chi aspetta i tartari, chi il settimo giorno, chi la terra non ancora concessa, chi la salvezza, chi la salvezza nell’incontro con l’altro. Il nostro tempo esistenziale è attesa.  “Il mondo nostro si tesse d’attesa”. A volte fino all’esodo da sé. Nella grammatica dell’assenza. L’attesa è “prendersi il futuro”, cercare di prolungarsi in avanti. In certi stati d’ansia c’è il timore dell’inatteso,  fino alle condotte di evitamento e al differimento dell’attesa. Nel susseguirsi impietoso dei tempi che scandiscono le nostre scelte esistenziali, si attende di tutto, dall’autobus alla morte.

Il filosofo Renzo Mulato ci ricorda che “a noi è dato percepire e misurare quello che chiamiamo tempo, ovvero la connessione, un insieme di connessioni”.  Ma siamo sempre immessi in un flusso che somiglia a un’esperienza tra il sonno e la veglia, dove il confine non è mai chiaro ed è sempre da stabilire, da rifare. Per spiegare che significa stare in questo flusso, che è sempre un divenire da un presente a un presente tenendo conto che nell’immediato non si possono conoscere niente altro che riflessi, Mulato cita Eraclito: “Negli stessi fiumi tanto entriamo quanto non entriamo”, nel tempo ci siamo e non ci siamo, e la connessione nascosta è più forte di quella manifesta. Un po’ come la differenza tra l’orologio del tempo civile e la meridiana del tempo senza tempo, elogiata dal poeta Andrea Zanzotto in un inno. Che ne sa l’orologio, poveretto, del flusso cosmico? La meridiana, invece, mette in connessione “il ritmo cosmico di cui abbiamo riflessi, il ritmo della terra su cui siamo, e il ritmo del singolo. Sono tre ritmi diversi che interagiscono. La connessione è nascosta, ha ragione Eraclito”. Gli orologi non ci raccontano i ritmi cosmici. Né l’immensità del movimento reale della terra e di quello apparente del sole. “Dalla meridiana si può avere una lezione di verità”. Perciò quando parliamo di tempo dovremmo tener conto di differenti livelli di realtà. L’orologio segna il crono-tempo, l’adesso; la meridiana segnala che siamo esseri, o esseruncoli a seconda del punto di vista, cosmici. Mulato segnala la pericolosa mania di onnipotenza dell’ “uomo nuovo” che conosce solo “la legge bronzea dell’accumulazione e vive nell’epoca del presente, anzi dell’istante”. Indispensabile la cura: contrapporre il tempo della pausa e della riflessione. Il tempo del nulla e del vuoto che vuoto non è. Il sostentamento dello spirito afflitto, dello spirito sfasato, fuori tempo in questo tempo istantaneo, si chiama filosofia. Ma niente elitarismi per Mulato: “La filosofia non è un sapere separato, ma insorge in ogni campo e persona quando ci sia una necessità o domanda che eccede il sapere del proprio ambito”. Il tempo d’oggi c’insegna che il titanismo è la rovina, il tempo della vita umana trova un senso se il suo ritmo è connesso con quello della terra e del cosmo.

Altro spunto: il tempo delle generazioni. Corrado Pontalti, psichiatra e psicoterapeuta registra la rottura epocale. Il passato è sempre stato il tempo di riferimento per costruire il costrutto psichico di ognuno e illuminare il presente. “Ma quando tutto accade nel presente, quando gli antenati non hanno più potere di parola, come si connettono le generazioni, cosa accade alla nostra costruzione psichica? Come si articolano le trame del sociale e del mentale nella nostra epoca?” è la prima volta nella storia che nel rapporto tra genitori e figli non si sa cosa si possa salvare: “Il presentismo è molto forte ma c’è la nostalgia del passato, degli antenati che davano i contenuti”. Resta un sentimento del vuoto esistenziale, la dicotomia intrapsichica e sociale tra presente da vivere e radicato bisogno di trascendenza, di una connessione oltre. Un tempo la famiglia viveva la compresenza delle due dimensioni, il tempo lineare e quello ciclico, tenendo le fila di un cammino comunque lineare. Oggi la linearità è saltata. “Il clinico che non ne tenga conto, rischia di parlare di un mondo che non c’è più”. Non resta che dialogare con genitori e adolescenti e apprendere anche una pedagogia che viene anche dagli adolescenti.

La storia dei popoli ci racconta un tempo diverso dal nostro di ascendenza cattolica:  il tempo nella cultura ebraica. Il rabbino Roberto Della Rocca segnala che il tempo è la cattedrale dell’ebreo. “L’unità del popolo errante, disperso e decentrato nello spazio dall’allontanamento dell’Egitto, è dato dal tempo”. È vero, fateci caso: “A differenza di civiltà impegnate a costruire nello spazio per immortalarsi, nell’ebraismo c’è stata la santificazione del tempo. L’unico monumento del popolo ebraico è una rovina, reliquia del tempo di Gerusalemme, un muro, l’unico rimasto e questo già delinea il rapporto tempo-spazio nell’ebraismo”. E il tempo per questo popolo ha un sapore diverso. Non è rievocazione nostalgica o commemorativa. “Non esiste la parola storia. Noi ebrei – ha raccontato il rabbino – giochiamo a nostro piacimento con il tempo, espandendolo e contraendolo come una fisarmonica.  Le barriere del tempo e della storia vengono ignorate”. Anche nell’interpretazione dei testi biblici non c’è un prima e un dopo ma una simultanea compresenza. L’edificio che conta per gli ebrei è il sapere, lo studio, la trasmissione del sapere;  il tempo accade nella narrazione: “Narrare equivale a vivere in senso forte. La salvezza c’è solo se siamo istruiti nella memoria, se sappiamo e ricordiamo chi siamo e da dove veniamo”.

Le madeleine di Proust possono ora tuffarsi a piacimento nel fiume senza tempo della vita cosmica che tutto contiene, eccetto la stoltezza dei titani d’argilla del nostro presente. Il presente: un istant book di deviazioni temporali psicopatologiche; meno di niente nel flusso del divenire.