Aquiloni: la poesia che vola sul pianger nel nulla della vita

aquiloni - poli“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole”. Niente cavalline storne, rievocazioni del padre morto o della madre che lo ha presto seguito nella tomba, né accenni alle tonnellate di disgrazie familiari o alla claustrofobica vita del poeta vincolata al culto del ricordo, all’impossibilità dell’amore e del sesso. Né ci sono le poesie più convenzionali, quelle che la scuola ha obbligato generazioni a memorizzare pena il demerito. Giovanni Pascoli, riscoperto e ‘reinventato’ da Paolo Poli, (inconfondibile attore fiorentino, mai si direbbe classe 1921, che non ha certo bisogno di presentazione) è figura oltre la retorica, fondatore della poesia italiana moderna per aver valorizzato la componente fonosimbolica del verso, il significante, il gioco lessicale sonoro che tanto si presta a essere recitato. Aquiloni, titolo che parafrasa la poesia Aquilone (da cui sono tratti i versi d’avvio dell’articolo), è lo spettacolo che Poli ha portato in tournée (ultima tappa a Roma al teatro Eliseo fino al 3 febbraio): un’immersione nel mondo pascoliano in forma di varietà secondo lo stile ludico anticonformista e policromatico del campione del trasformismo che dell’allestimento ha curato anche la regia.

“Le poesie di Pascoli sono macchinette sadiche per far piangere i bambini, ha detto una volta bene Edoardo Sanguineti, e io lo so che è così, e ne traggo profitto per far sorridere”, ha dichiarato l’attore. Irrisione del poeta di San Mauro di Romagna, allora, ma così competente e addentro quella produzione da diventare al tempo stesso un serio omaggio: nel fare il verso ai versi più esangui, stucchevoli e piagnucolosi, Poli ne ha esaltato la forza ritmica e sonora grazie a un’abilità interpretativa e a un vitalismo scenico non attutiti dal tempo. Dopo aver realizzato monografie letterarie dedicate tra l’altro a Gozzano, Savinio, Palazzeschi, Ada Negri, Parise, Annamaria Ortese, Poli è approdato a Pascoli nel 2012 in occasione della celebrazione del centenario dalla morte del poeta: perché a lui, non tra i poeti più amati ma il più orecchiabile e ‘teatrale’ deve i primi applausi ricevuti per aver declamato poesie fin dall’età di 5 anni. Così ha confezionato un varietà in due atti all’insegna di originalità e bizzarria, da sempre cifre stilistiche del coltissimo interprete, insieme ad altri quattro collaudati compagni di scena (Fabrizio Casagrande, Daniele Corsetti, Alberto Gamberini, Giovanni Siniscalco). Tutti a recitare non si conta quante poesie tratte in prevalenza da Myricae, da I Canti di Castelvecchio, i Poemetti, catapultate sugli spettatori, aquiloni sonori, senza mediazioni né introduzioni, alternate a un campionario di canzonette che alludono al clima dell’epoca non solo la Bella Époque, anche le atmosfere del Messico con Guantanamera, poi Tripoli bel suol d’amore (che ricorda il  convinto assertore della campagna di Libia) fino ad Addio Lugano, canzone anarchica visto che Pascoli, cosa che non si sa, fece tre mesi di galera per simpatie socialiste e da lì lo tirò fuori il maestro Carducci.

aquiloni063Aspetti biografici poco noti o ignoti che mette in luce  lo psichiatra e psicoanalista romagnolo Pierluigi Moressa nel suo libro Pianger di nulla, gli affetti di Giovanni Pascoli (Raffaelli editore, 15,00 €), delicato quanto documentato omaggio al corregionale poeta, immune da risolini e derisioni, ritratto del Pascoli dolente. In scena invece (scenografie bellissime di Emanuele Luzzati che si ispirano anche a quadri famosi con integrazione di mucche di Fattori e pecore di Segantini, costumi eccelsi di Santina Calì), il Poli trasformista  pirotecnico non ha risparmiato energie: cambi d’abiti di sesso e contesto. In pantaloni e panni maschili ha dato voce a temi e suoni pascoliani fino a tramutarli in filastrocca, canzone ritmata. Ecco la natura, l’uso evocativo e onomatopeico del linguaggio, il plurilinguismo (il poemetto Italy) il mondo rurale, gergale, campestre con tanto di elogio della zappa e del piccone, la voce di personaggi pascoliani come la vecchia della poesia La morte del papa. In crinolina ha restituito atmosfere da belle époque e canzonette malandrine. Capacità mnemoniche, vorticosi sciogli lingua, trasformismo, duttilità: per chi non si è perso nell’abbuffata di versi, è stata un’occasione funambolica per riscoprire a teatro il Pascoli poeta del suono e delle sonorità. Poesia del suono che stabilisce simboliche corrispondenze tra fenomeni esterni e realtà psichica ma anche, a seguire l’interpretazione più emotiva che psicoanalitica di Moressa, poesia degli affetti. Più che pianger di nulla (titolo del libro estrapolato dalla composizione Le ciaramelle), la poesia di Pascoli esprime un pianger nel nulla, nel deserto della vita che è susseguirsi di accidenti e venir meno di tempo: “il pianger di nulla è divenuto infinite volte uno sconsolato piangere nel nulla, piangere per l’assenza, per l’ingiustizia, per l’abbandono, per la morte, in un vuoto di contatti affettivi che hanno reso amara la vita dell’uomo, dolentissima la musa del poeta”. La poesia è “risposta all’angoscia, un antidoto al male”, ha il compito di vendicare i morti, diventa religione del ricordo, culto domestico, denuncia dell’umanità quale ‘atomo opaco del Male’ (X agosto, Myricae).

aquiloni117La produzione pascoliana, ‘romanzo dell’orfano’ secondo la fulminante definizione di Giacomo De Benedetti, chiede solo d’esser accolta e ascoltata. L’autore ripercorre in punta di penna le vicende biografiche di ‘Giovannino’ non pervenute nei testi scolastici: il pianto della madre alla sua nascita per la scoperta di una malformazione al mignolo di un piede che lo renderà leggermente claudicante a vita e sarà la ferita narcisistica che comprometterà l’immagine di sé. Ma “se il difetto si rivelerà una piccola cosa, l’eco del pianto materno risuonerà lungamente dentro di lui”; eco di una madre depressa, impossibilitata a essere accogliente. Tra “le difficoltà di una vita sempre condotta sull’orlo della disperazione”, ci sono tanti strappi:  l’ombra della morte che più volte visita la famiglia, l’omicidio del padre Ruggero, il  pensiero di suicidio, le alterne vicende professionali, i rapporti con le sorelle e le fantasie erotiche sublimate nel nido ricostituito, l’amarezza per il distacco dalla sorella Ida che dal nido si emancipa. Si accenna anche all’etilismo del poeta che privato per sempre della gioia si getta nell’alcol: probabile causa della morte è la cirrosi epatica. “Le scarpe non mi vanno. Delle altre le une sono cenciose, le altre mi fanno male. Mi alzo piangendo… vado a letto piangendo, quasi sempre con la testa piena di cognac. Non ne posso più”, scrive ad esempio Pascoli alla sorella Mariù poco prima del matrimonio della sorella Ida, le cui nozze sono altra stazione di dolore. Giovanni ha due occasioni per sposarsi e creare la propria vita autonoma ma sfumano: ‘vince’ Maria, racconta Moressa, che si garantisce “il possesso definitivo del fratello”. Tra Ida, l’angelo, e Mariù, l’arpia, in perfetta simmetria ci sono due fratelli, Raffaele, quello buono e Giuseppe, “alter-ego cattivo” capace di ricatti e contumelie (accusa Giovannni “ di aver compiuto libidini su di lui approfittando della sua ingenuità di bambino”) per ottenere denaro. Non è una passeggiata di salute una vita così, anche se Poli l’ha accantonata.

aquiloni273Tra il poeta delle piccole cose e della dimensione quotidiana più dimessa, il cantore della meraviglia infantile e dell’esperienza privata in quanto degna dell’interesse universale nonché l’interprete dei destini umani, c’è anche il testimone della lacerazione dell’io di cui la natura simbolicamente si fa portavoce anche a sentire i versi degli uccelli, tra l’emersione di fantasmi di paralisi o di morte. È l’emergere di una tematica  prefreudiana, tematizzata nel Fanciullino: la poesia come creazione alogica che affiora dal profondo, l’illusorietà del contatto con le cose, l’impatto del tempo e del sogno. Moressa ricostruisce le affinità tra  l’opera pasco liana, là dove abbonda di simboli e sintomi, e gli scritti appena di qualche anno successivi di Freud, che pure considera il poeta creatore di sogni e bambino perché sognatore in pieno giorno. Al sogno Pascoli attribuisce alto valore psicologico ed estetico al punto da progettare un poema sulla psiche umana che mai realizzerà. Al pari dei poeti della classicità è un classico perché riscatta le offese biografiche tramutandole in messaggio universale:“Il valore costitutivo della poesia è chiaro a Pascoli che non esita a indicarne i caratteri: funzione ripartiva, qualità di antidoto contro il male, indifferenza alla piccola gloria, utilità civile, indipendenza creativa”. La poesia  che brucia e sorpassa i soprusi dell’esistenza diventa anche scanzonata fantasticheria: “voglio cercar la terra consolata, dove sbocciano il loto e gli amaranti e dove dorme per opera d’incanti lo gnomo biondo e l’azzurrina fata”. Moressa scova anche un Pascoli ‘collodiano’ e al sapor delle mille e una notte che di sicuro piacerebbe a Poli.

 

 
Autore: Pierluigi Moressa
Titolo: Pianger di nulla – Gli affetti di Giovanni Pascoli
Editore: Raffaelli Editore – Rimin
Pagine:200 Anno:2012 Prezzo: € 15,00pianger di nulla