Canzoni quando sei triste

Ho un debole, lo ammetto: mi piacciono le canzoni tristi. C’è gente che ama quelle da fischiettare, altri che preferiscono quelle adrenaliniche, altri ancora che si sentono a casa perdendosi nei loop, nei drone o nelle spire psichedeliche di qualche chitarra. A me no, cioè sì, mi piacciono anche quelle, per carità, e pure molto. Ma preferisco quelle tristi, che non sono necessariamente lente, ma che hanno quel nonsoche che le rende adatte a un certo mood. Quelle, per capirci, su cui ti crogioleresti all’infinito, capaci sia di accompagnare la tua momentanea (si spera) disperazione, sia di scioglierla, consolandoti e scaldandoti il cuore. Chiaramente ce ne sono anche di brutte, di canzoni tristi, ma anche di molto molto belle, ed è per questo che forse mi piacciono, perché alla fine si tratta semplicemente di buone canzoni. Tra le ultime uscite ecco tre dischi che, a mio parere, a  questa categoria, le canzoni tristi belle, ci appartengono di diritto.

I Flights vengono da Nashville, Tenessee, e la loro musica delicata e dilatata si accasa dalle parti del nuovo folk alla Bon Iver: produzione a metà tra il sintetico e l’acustico, voci in primo piano e lunghe passeggiate in territori sonori placidi come le acque di un lago e vividi come il verde degli alberi d’estate. Il disco in questione, Anywhere but where i am (autoprodotto,2012), è quello d’esordio del duo americano ed è disponibile (ora che rileggo però vedo che era disponibile) in free download (name your price, of course) sul loro bandcamp. From the lake to the land è la traccia d’apertura dell’album (che, va detto, è bello lungo, 13 pezzi per più di un’ora di musica) e ci proietta di colpo all’interno del suddetto universo, con un arpeggio accompagnato da un coro che si libra piano piano verso l’alto: ottimo inizio. Si continua, alla grande, con Taller: chitarra acustica, qualche riverbero, un’elettronica minimale insieme a due accordi di pianoforte e la voce che guida sovrana la melodia per quasi cinque minuti. Mountaintop, il terzo pezzo, è ancora all’altezza, e già ti stai domandando che razza di esordio ti sia capitato tra le mani quando, finalmente, i Flights scendono sul pianeta terra inserendo i tre pezzi forse meno riusciti del disco: la strumentale (e yantierseniana) title track, la bohemienne Where th willow tree are e A difficult Year. Una pausa di solo tre canzoni perché poi si riprende dove il discorso si era fermato con Mountaintop: So many foreign rooms, Keep us in mind, Names and racesPillars e The river kings sono tutti ottimi pezzi, coerenti con le atmosfere dei primi tre. Le ultime due canzoni invece, Perfect home e Fake arms, appartengono ancora a un’altra scuola, quella del folk minimale (un nome? A me viene Bonnie Prince Billie) fatto semplicemente di voce sussurrata e chitarra acustica: un commiato morbido e intenso.

http://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/v=2/album=2783582529/size=venti/bgcol=FFFFFF/linkcol=4285BB/

Giampiero Riggio invece è siciliano e il suo disco, Separations, era già uscito nel 2007. Adesso però la neonata La Vigna Dischi, etichetta di vino e musica di Mazara del Vallo, ha deciso di rimetterlo in circolo in free download come ammiraglia del suo progetto,  arricchito di ben sette pezzi (b-sides e remix) che rispondono a un ideale lato b di un ipotetico vinile. La musica di Riggio è una sorta di elettroacustica fatta in casa, in cui le dolci melodie vocali vengono contrastate da un’elettronica minimale, andando a creare un atmosfera onirica, da tarda notte. Il primo pezzo Separation I – Souvenir (tutti i pezzi portano il nome del disco in ordine progressivo accompagnati da un sottotitolo) è una carezza che ti sveglia dolcemente per trasportarti in un altro luogo, lontano da tutto e da tutti. L’ascolto di Souvenir è un’immersione, una discesa in apnea verso mondi bizzarri, a volte claustrofobici (Nails, The evening, naked), altre volte spaziosi e vasti (Springtime, Smell) ma tutti inevitabilmente malinconici. Un disco da conservare preziosamente, da tirar fuori nelle occasioni speciali. Da ascoltare preferibilmente in solitudine.

http://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/v=2/album=3108471141/size=venti/bgcol=FFFFFF/linkcol=4285BB/

Damien Jurado è uno invece che ne ha vista passare di acqua sotto i ponti. Carriera di lungo corso la sua, iniziata sotto l’egida della Sub Pop e continuata presso i tipi di Secretly Canadian per è cui uscito, giusto qualche giorno fa, il suo ultimo, bellissimo, disco: Maraqopa. Un disco in cui Damien, in dieci tracce, fa vedere tutto ciò di cui il suo songwriting è capace di fare, ossia: tante e grandi cose. L’album sembra partire in una direzione, con la psichedelia di Nothing in the news, intarsiata da lunghi fraseggi strumentali, per poi chiudersi in tutt’altra, con la conciliante ballad Mountains still asleep. In mezzo un caleidoscopio di sfumature e colori, un campionario di immagini tanto vasto quanto limpido nella sua bellezza. Se in Life away from the garden Jurado duetta con un coro di bambini, come a voler ristabilire un contatto con la giovinezza che fu (There was a time/ When we were golden/ Like the sun/ We were lights in the world), nella successiva Maraqopa lo ritroviamo a dialogare con se stesso, quando alla strofa cantata in punta di piedi risponde con un refrain che sembra venire da molto lontano, quasi un’eco. Reel to reel ha un carattere più soul mentre This time next year è quasi una bossa a stelle e strisce. Poi le atmosfere iniziano a farsi più intime e l’album tocca i suoi picchi lirici, con una serie di ballad intrise di quella nostalgia rassicurante in cui ci buttiamo quando tutto intorno gira male e cerchiamo solo quello sicurezze dolceamare che provengono dai bei ricordi che furono (a tal proposito leggetevi i racconti di Malamud). Ed ecco la soffice Working Title, la crepuscolare Everyone a Star, il folk accogliente di So on, Nevada che ti fa sentire a casa ovunque tu sia, il meraviglioso pop in falsetto di Museum of Flight. Siamo su vette davvero alte con Maraqopa, come quelle delle montagne dormienti del già citato pezzo di chiusura. Con album così c’è da star tranquilli, la nostra tristezza non conoscerà momenti di recessione. Almeno lei.

https://player.soundcloud.com/player.swf?url=http%3A%2F%2Fapi.soundcloud.com%2Fplaylists%2F1599849 Damien Jurado – Maraqopa by Secretly Canadian

2 thoughts on “Canzoni quando sei triste

  • Marzo 4, 2012 alle 3:11 am
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    Cavolo, tutti ottimi consigli! Ho ascoltato i tre album e mi sono piaciuti molti; in particolare i Flights.
    Visto che ho un debole (è dir poco) per questo pop-folk crepuscolare e decadente, quali altri album mi consigli?
    La mia “linea strutturale” su questo particolare mood musicale è la seguente: Nick Drake – Neutral Milk Hotel – Belle and Sebastien – Bon Iver (e l’esplosione del folk minimalista negli anni zero). Ho ascoltato tantissima roba simile ma mi pare che, nella mia esperienza di ascolto, si riduca tutto a questo filo.
    Aspetto suggerimenti. Intanto grazie.

    • Marzo 5, 2012 alle 12:54 am
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      Caro Nickghostdrake, innanzitutto grazie a te, di cuore! La band che ti piacciono e che segui sono anche tra le mie preferite (andrò a vedere Jeff Mangum a Londra a breve…) quindi come gusti direi che ci troviamo. Ti sparo qualche altro nome, così al volo. Nel filone Nick Drake ti consiglio di recuperare tutto ciò che ha fatto Bill Fay (ne ho scritto qui http://www.atlantidezine.it/bill-fay-the-time-of-the-last-persecution.html) mentre in quello Belle And Sebastian trovati la discografia dei Lucksmiths, non ne rimarrai deluso, ti assicuro.
      Altri nomi? Prova Emphemetry (http://emphemetry.bandcamp.com/album/a-lullaby-hum-for-tired-streets), Darren Hayman, Bill Callahan (e Smog, di conseguenza), Villagers, David Tattersall, Bonnie Prince Billy e Vic Chesnutt. Chiaramente è una lista tutt’altro che esaustiva ma spero di averti dato due-tre dritte interessanti. Alla prossima!

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