Viaggio nel cuore del petrolio

Una cover è sempre una faccenda rischiosa. A prescindere dall’umiltà con cui ci si dedica, le probabilità di rimaner schiantati dal confronto con l’originale sono comunque alte. Può capitare, poi, che il riarrangiamento banalizzi, o addirittura ridicolizzi, ciò che invece l’originale esaltava, e poco importa se chi ci ha provato era assolutamente in buona fede: una cover malfatta, o mal riuscita, è peccato grave. Vale per la musica, così come per la scrittura.
Per questo quando si inizia a sfogliare Delta blues e si legge che “questa è una cover…”, subito scattano gli allarmi: si sta entrando in un campo minato. Se poi la cover è di un pezzo da novanta come Cuore di tenebra, allora è chiaro che il rischio è davvero grande. I Kai Zen, però, ci provano lo stesso e, a tre anni da La strategia dell’Ariete, i cugini dei Wu Ming si ripresentano con un altro romanzo a otto mani, questa volta per Verdenero, piccola casa editrice specializzata in temi ambientali.

L’ottima copertina di Gipi, intrisa di colori scuri e oleosi, è un riassunto migliore di tante parole: c’è un fiume, una nave, un cadavere che galleggia. Sullo sfondo, le inconfondibili sagome di alcuni pozzi petroliferi, con le fiamme del gas flaring a rischiarare la notte. L’Ente è una multinazionale dell’energia, dedita in particolare all’estrazione del petrolio. Martin Klein è un suo non più giovane ma ancora energico dipendente, convinto che il futuro sia nelle fonti di energia rinnovabili. Klein viene spedito nel cuore dell’Africa per occuparsi di alcuni pozzi petroliferi, in una zona resa pericolosa dalla presenza di banditi e ribelli, viene rapito e sulle sue tracce viene mandato un “esperto”, nome in codice Tamerlano, che dovrà risalire un fiume cupo e antico in cerca di un uomo addentratosi troppo a fondo nel famigerato cuore di tenebra.

Uno dei tratti caratteristici del capolavoro di Conrad, come pure dell’altrettanto magnifica trasposizione cinematografica di Coppola, era una certa lentezza, talvolta volutamente pesante, stancante, metafora della lenta decomposizione dell’ordine di una società che andava a confrontarsi con il suo lato oscuro. In Delta blues, al contrario, si corre. Troppo, soprattutto per quanto riguarda il crollo di Klein e la sua “conversione”, frettolosamente raccontati tramite qualche mail e una manciata di pagine di diario. Solo verso la fine del libro gli autori riescono a dare al loro Kurtz lo spessore che merita, grazie a un bel dialogo, secco e allucinato, con Tamerlano. Sarebbe stato meglio, forse, far apparire Klein soltanto qui, dopo aver caricato questo incontro con la tensione e le aspettative del suo cacciatore.

Passate le prime cento pagine, il libro si fa più solido e interessante: il ritmo rallenta, tranne alcune lampi di violenza ben descritti, mentre l’attenzione si focalizza su Tamerlano e sulla sua percezione della discesa agli inferi che sta vivendo. Una storia del genere non può che finire crudamente, ma nell’epilogo c’è anche spazio per un ottimismo credibile e non ingenuo.
A livello stilistico, gli autori riescono ad evitare la trappola delle facili iperboli per sottolineare la tragicità del contesto, trappola in cui è facile cadere, specie quando si va di fretta. La scrittura è pulita e onesta sebbene il registro non cambi nelle mail e nelle pagine di diario, rendendole poco credibili e dando, talvolta, una certa sensazione di monotonia.

In definitiva, il difetto dei Kai Zen, già presente ne La strategia dell’Ariete, resta quello di una certa incostanza narrativa. Un difetto che però, come nel precedente romanzo, non impedisce a Delta blues di essere una discreta lettura, ben documentata – belli il glossario e la bibliografia finali – e in grado di denunciare senza scivolare in facilonerie fanatiche e toni apocalittici.

 

Titolo: Delta blues
Autore: Kai Zen
Editore: Verdenero
Dati: 2010, 265 pp.,  16 €

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