Entrare fuori e uscire dentro: i matti siamo noi

“Da vicino nessuno è normale”. Avevate dubbi? In certi casi anche da lontano nessuno lo è, “normale”. Su una parete a caratteri cubitali neri la frase di Franco Basaglia, padre nobile di una psichiatria libertaria, sottintende la diversità come principio di conoscenza del mondo. La normalità si nutre di diversità. Visto a distanza ravvicinata, ognuno mostra uno scarto dalla normalità e un’irriducibile anomalia. Benvenuti in manicomio. Potrete sentirvi tagliati fuori e insieme scoprire d’essere a  casa  perché sperimenterete con i vostri sensi quanto può essere facile in condizioni estreme scivolare nella patologia.

Padiglione 6, complesso “santa Maria della Pietà delli poveri pazzi”, dalla sua fondazione a metà del ‘500 “ospedale dei poveri forestieri e pazzerelli”. Padiglione 6, cuore del manicomio fino al 1978 quando la legge Basaglia  liberò i matti dalla reclusione. Ma il manicomio più antico e più grande d’Europa ha smesso d’essere tale solo più tardi, nel 1999. Il padiglione 6 ospita dal 2000 il museo laboratorio della mente. Dal 2008 con la collaborazione di Studio azzurro (uno straordinario gruppo di ricerca artistica che si esprime con gli strumenti multimediali offerti dalle nuove tecnologie), il museo, fino al 2007 unico riferimento museale in Italia nel campo della salute mentale, è diventato luogo vivo. Per essere un museo contraddice la natura stessa dell’idea di museo come spazio inerte di conservazione del passato e della sua contemplazione passiva. Qui, non solo si può, ma si deve toccare per contattare attraverso schermi, pazienti e racconti. Si può e si deve interagire per provare con la vista, il tatto, la parola, come può essere stare dall’altra parte, vivere l’esperienza dell’esclusione, e capire quanto viviamo affogati nei pregiudizi.

Il percorso di visita in cui si alternano elementi reali ed esperienze di laboratorio, materiali provenienti dall’archivio storico e dalle fonti orali registrate del Santa Maria,  come dalla biblioteca Cencelli e dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, scuote il visitatore richiedendo una partecipazione attiva e partecipe. Qui le cose si lasciano accadere, non si contemplano a distanza. L’intento non è solo utilizzare storie di vita come memoria di un passato, ma attualizzare le tematiche della salute mentale. “Attraverso l’ascolto/visione delle videointerviste ai testimoni della storia del manicomio e le esperienze dirette che le installazioni interattive offrono – scrive Pompeo Martelli, psichiatra e direttore del museo nel bel catalogo del museo –  il visitatore è invitato a riflettere sui percorsi dell’esclusione sociale e a mutare/ripensare il suo atteggiamento nei confronti della diversità”.

Niente di meglio, allora, se come è capitato a chi ha aderito il 18 maggio alla Giornata internazionale dei musei dedicata alla memoria nell’anno che coincide con il 150 esimo anniversario dell’unità d’Italia, si è potuto fare una visita gratuita condotta da operatori della salute mentale e dallo stesso direttore. Infatti questo è l’unico museo italiano gestito da operatori della salute mentale, alcuni parte della storia del santa Maria della Pietà che per la valenza educativa e l’impatto emotivo ha coinvolto fasce di popolazione di solito estranee a qualsiasi circuito culturale. Nel luogo di reclusione e senza tempo che è stato il padiglione 6 al pari di altri padiglioni, il percorso è all’insegna del motto “entrare fuori, uscire dentro”, motto ricavato da una cartella clinica di un paziente, Nannetti Oreste Fernando, detto Nanof, autore di un capolavoro, un graffito lungo 180 metri che aveva fatto con una fibia lungo un muro  esterno dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Volterra. Parte del muro è riprodotto in trasparenza e attraversa il percorso, di volta in volta come barriera e vetrina che dà il senso dell’entrare fuori e dell’uscire dentro. “Un’espressione linguisticamente sbagliata – ha spiegato durante la visita Martelli – che rende bene l’idea di come chi stava dentro percepiva le cose in maniera diversa. Per chi stava dentro, uscire fuori significava rientrare nel tempo, entrare in una comunità, entrare in relazione. Chi sta chiuso percepisce il fuori non come un’uscita ma come un’entrata in uno spazio libero”. Invece i visitatori, “escono dentro” e il primo impatto è con gli sguardi: circondati dagli occhi dei pazienti che tramite installazioni scrutano l’ingresso di nuovi arrivati. Subito si è immersi in una fisicità diversa: corpi si lanciano contro una barriera invisibile e la impattano: raccontano l’esclusione fisica e psicologica e la violenza subita. L’esperienza delle percezioni ingannevoli passa attraverso la vista nella cosiddetta camera di Ames dove da un piccolo foro si osserva uno spazio in cui se due persone entrano ai lati, una appare troppo piccola e l’altra troppo grande. Basta poco perché il mondo che percepiamo non sia più riconoscibile. Nella stanza del parlare, si sperimenta lo stereotipo tipico della follia, il parlare da soli a voce alta: attraverso un microfono la propria voce viaggia ma in un’istallazione una bocca produce a sua volta un suono: per sentire bisogna parlare, si entra in un vortice che  avvia un percorso dissociativo. La seconda istallazione rimanda la propria immagine da uno schermo, però è immagine già trascorsa; il tempo trasmesso non coincide col tempo reale. L’identità non è possibile, non  ci si può specchiare, non ci si riconosce. Nella terza stanza da una serie d’imbuti sospesi al soffitto piovono suoni e parole. Parole proprie, precedentemente registrate, piovono sulla testa tra parole altrui. Gli imbuti, “gioco e valore simbolico – ha spiegato Martelli –  rimandano al quadro di Bosh, “la cura della follia”, il primo quadro che configura la relazione terapeutica, ma chi dovrebbe curare sta con l’imbuto in testa, come dire attenzione a distinguere chi cura da chi è curato, per capire il matto l’alienista deve essere un po’ matto anche lui”.

La macchina fotografica da banco a soffietto sancisce l’ingresso senza uscita: ci fotografa, esattamente come accadeva ai pazienti che erano impressionati con il loro nome scritto su una piccola lavagna posta dietro la sedia, così come nelle foto segnaletiche d’inizio secolo. Una volta schedati, la foto entrava nella cartella clinica che in versione virtuale permette di far ritrovare la propria faccia tra quella di vecchi pazienti recuperata dall’archivio storico, come a segnare l’azzeramento delle differenze. Lo spettatore viene coinvolto fino a sperimentare col suo corpo le posture, gli ossessivi comportamenti degli internati. “Una progressiva assunzione fisica del tema attraverso le numerose postazioni interattive che inducono a muoverti in un certo modo, a rivestire le posture tipiche della malattia, a interpretarne lo stigma. Fino a uscire questa volta per davvero con l’emozione di un’esperienza forte e immersiva, buona memoria per riconoscere l’entrata in quell’apparente normalità del nostro quotidiano tecnologico”, si legge sul catalogo, nell’articolo redatto dallo Studio azzurro. Stando  appoggiati a un tavolo con la testa tra le mani, attraverso un emettitore sonoro si sentono le “voci”. Il dondolo permette di assumere il linguaggio corporeo proprio dell’internato costretto a una dimensione senza tempo che lo priva dell’identità e della coscienza.  È la modalità usata da tutti coloro che sono soggetti all’esclusione per cercare di ritrovare il tempo. “Il manicomio – ha raccontato Martelli – aveva dentro di sé quest’idea: il controllo. In fondo aveva questa logica, doveva isolare e usava tecniche di isolamento dell’individuo complesse, non solo fisico ma psichico, tecniche che conoscono bene i torturatori, fino a portare alla condizione psicotica”.  Veri e impressionanti sono i fagotti, contenuti nella fagotteria, luogo dove i ricoverati in arrivo venivano fatti spogliare nudi e privati di tutte le loro cose, di solito povere cose ma parte costituiva dell’identità; cose avvolte in una carta da pacco come la loro intera vita. La camera di contenzione si può osservare attraverso un piccolo foro: vi venivano rinchiusi i pazienti ritenuti pericolosi, legati o costretti a mettere la camicia di forza. Lo studio medico ricostruito ha la macchina dell’elettroshock. La farmacia è parte del patrimonio storico del complesso ospedaliero. Nell’ultima sala, tra elementi originali collocati in uno spazio che era adibito a questa funzione, due tavoli su cui veniva dato e consumato il cibo. In uno dei due, però, grazie a una sofisticata tecnologia, a un tocco di uno dei tre libri poggiati sopra  (cartella clinica, libro dei regolamenti del manicomio, registro di consegne degli infermieri) si “apparecchiano” storie, testimonianze videoregistrate di pazienti, infermieri e medici, sulla vita dell’istituzione. Ci sono  poi il muro di Nannetti, di cui si è detto, e le creazioni di Baieri, altro paziente che faceva creazioni in cui è ricorrente la presenza di un orologio ferma tempo.  Tanti altri dettagli sono da vedere e vivere di persona.

A conclusione della visita, oltre i laboratori e un convegno organizzati per l’occasione, lo psichiatra Marco Salustri ha condotto una passeggiata audio guidata tra i padiglioni del complesso ospedaliero, per dare un’idea di come era organizzato e strutturato il più grande manicomio d’Europa. Di forte impatto emotivo è stata la testimonianza diretta di Vincenzo Boatta, ex infermiere con alle spalle una lunga esperienza in manicomio, esempio del divario tra l’immobilità dell’ideologia istituzionale e la forza contestatrice che si fece strada a poco poco del personale che viveva a stretto contatto con i rinchiusi. Ora che il santa Maria è patrimonio pubblico e il museo nelle intenzioni dei suoi curatori, è un “portatore sano della qualità della diversità”, viene in mente un’evidenza rivelata da un uomo della letteratura, Eugene Ionesco: “la ragione è la follia del più forte. La ragione del meno forte è follia”.

 

 

Museo della mente – Orari: Lunedì – Venerdì 9.00-13.00/15.00-17.00
Giorni di chiusura Sabato, Domenica e festivi

Si effettuano solo visite guidate su prenotazione telefonica

Ufficio Prenotazioni:  dal Lunedì al Venerdi 9.30-13.30
tel. 0668352927-0668352857