Fedeli alla linea

Last Days of April - Gooye (cover)La band svedese dei Last Days Of April pubblica un nuovo album Gooey (“appiccicoso”) e fin dal titolo mi fa storcere il naso per il timore che nel magma trasformista dei nostri tempi  anche questi ultimi eroi siano crollati come leoni di sabbia all’arrivo della risacca. La mia paura appare giustificata dagli ultimi sviluppi della musica indie che hanno tolto certezze alle mie capacità di previsione; sto pensando all’imprevedibile evoluzione del menestrello d’America, Sufjan Stevens, che trova nel più acuto sperimentalismo il modo di aderire con più forza al passaggio dei tempi, agli Arcade Fire, che scelgono una nuova intimistica dimensione per combattere la globalizzazione post-moderna e, in negativo, agli Interpol che invece quest’anno s’impaludano nelle sabbie della noia più cupa.

Con questo spirito e con un po’ d’ansia mi appresto quindi all’ascolto del settimo disco della band di Stoccolma. La prima track è già un manifesto programmatico: No time for dreams e mi trovo immediatamente spiazzata dall’onestà intellettuale e dall’umiltà  con cui Larsson e soci, non nascondendosi dietro strategie di sorta, ci svelano il motivo conduttore sia tematico che melodico dell’intero disco. E quando la narcolettica voce del leader dei LDOA canta “When all is too late, when all is said and done/When my head is bald and my legs won’t run/Will I think of all I accomplished or all I could have done?” ho già un’idea precisa di cosa possa aspettarmi dall’intero album.

Last Days of AprilIl singolo di lancio è America, una folkeggiante song in cui la scrittura si veste di nostalgia per quel paese, oggetto di una lunga tournée, da cui gli svedesi hanno saputo succhiare negli anni gli stilemi espressivi, tanto che, ad oggi, forzando un po’ il paragone, mi ricordano gli americanissimi Wilco della straziante Ashes of American Flags. Nella lenta e intensa All the same a cantare è addirittura Evan Dando, il leader dei Lemonheads mentre in If (Don’t Ever Blame Yourself) Larsson duetta con Sara Tegan (una delle gemelle canadesi del duo Tegan & Sara).

Non ci sono rivoluzioni copernicane in quest’album e posso dire che, almeno per il momento, non ne sento la necessità. Alcuni gruppi sono così, sai che non ti deluderanno nonostante il passare del tempo. Certi dischi poi, li amerai proprio per questo, perché capisci in anticipo cosa aspettarti da loro. I LDOA sono quel tipo di band, ormai una mosca bianca nel panorama musicale internazionale. Con freschezza e spontaneità ci dimostrano che l’unità d’ispirazione e d’intenti è più forte del trasformismo mediatico, e che rimanere saldi mentre tutto attorno rotola, nel 2010, vale ancora qualcosa. Dopo 14 anni di onorata ma sottovalutata carriera, il gruppo è rimasto fedele anche  all’etichetta dei loro esordi, la Bad Taste Records che nasce nei primi anni ’90 legandosi alla scena punk-hardcore slittando poi verso pubblicazioni più marcatamente emo-rock, nelle quali s’inserivano i primi LDOA.

Last Days of April (Karl Larsson)Oggi più che mai abbiamo bisogno di musica di questo tipo, che riesca a convincerci che la semplicità è arte quando, scevra da orpelli, riesce nell’intento più difficile, comunicarci i deliri di un amore sempre sull’orlo del tracollo risultando mai, neppure per un secondo, banale o patetica. In fin dei conti, sembrano dirci i LDOA, non puoi resistere alla malinconia che s’impossessa lentamente di te  per lo scorrere del tempo, così come non puoi non soffrire di un fallimento d’amore che scheggerà la tua anima per sempre.

M’immedesimo a tal punto nell’empatico songwriting di Larsson che alla fine dell’album mi rimane un’unica grande curiosità: chi sarà mai questa donna che nel corso degli ultimi 14 anni lo fa continuare a sospirare e tiene noi incollati alle sue corde?