Il bambino dei Lager. I disegni di Thomas Geve

Thomas Geve (Stettino, Polonia, 1929) aveva tre anni quando Adolf Hitler salì al potere nella vicina Germania; dieci quando il suo paese Natale venne invaso dai nazisti; appena tredici quando venne internato nel primo campo concentramento, ad Auschwitz, e non ancora sedici quando venne liberato dall’ultimo della sua lunga prigionia, Buchenwald. Thomas Geve, in quei campi di sterminio fu un’anomalia per tutto il tempo che vi rimase, perché riuscì a sopravvivere nonostante vi fosse entrato ben prima di aver compiuto quindici anni, data raggiunta la quale, per i nazisti, si era abili al lavoro. Ad Auschwitz, Goss-Rosen e Buchenwald, i bambini, i ragazzini, facevano un brutta fine ancor prima degli altri detenuti, perché risultavano inutili alla logica del Lager, troppo deboli per la produzione al massacro di cui i prigionieri erano chiamati a essere altrettanti meccanismi.

Nel 1945, quando le truppe alleate giunsero a liberare i prigionieri, Geve, forse colto dalla necessità di esternare tutto lo strutturatissimo male di cui era stato testimone, di espellerlo, chiese loro dei fogli e dei colori e realizzò 79 cartoline della prigionia che, fino al 13 maggio 2012, saranno esposte presso il Museo diffuso della resistenza della deportazione della guerra dei diritti e della libertà di Torino, raccolti in una mostra intitolata significativamente Qui non ci sono bambini. Infanzia e deportazione. I disegni di Geve, a prima vista, sono quelli tipici di un bambino – colori vivaci, forme geometriche ed essenziali, sfondi a tinta unita solcati da personaggi minuscoli –, eppure, la loro minuziosità, l’attenzione al dettaglio del loro autore, va ben oltre l’apparenza infantile. Si tratta di testimonianze curatissime ed estremamente preziose della vita nei campi di concentramento e della strutturazione degli stessi.

Vi sono mappe di Auschwitz e Gross-Rosen; sezioni che mostrano i forni dal loro interno, con lettere che richiamano a una piccola legenda in cui sono indicati tutti i loro tremendi antri; elenchi disegnati di ciò che i detenuti mangiavano quotidianamente, tutto misurato fino all’ultimo misero grammo. Un paio delle cartoline, poi, sono dedicate a due gruppi di vittime della ferocia nazista che sono passate in secondo piano rispetto ai milioni di ebrei sterminati, ma che comunque hanno visto i loro rispettivi numeri assottigliarsi fino all’infinitesimale: i testimoni di Geova e gli zingari. Essendo di Torino, dove poco tempo fa un campo Rom è stato dato alle fiamme, di fronte alla cartolina che ritraeva un gruppo di zingari, separati da tutti, schifati anche dagli altri detenuti, ho avuto un sussulto. Sono stato colto dal terrore che certe tragedie possano succedere ancora, perché di odio per il diverso ce n’è ancora, sempre, tanto, troppo da non mancare mai.

Thomas Geve, con questi piccoli, intensissimi disegni, ha reso un servizio enorme all’umanità. Gli ha offerto una testimonianza visiva immediata; delle immagini da osservare, conoscere e su cui riflettere. Sono convinto che è inutile cercare di comprendere certi avvenimenti, certe sofferenze, ma è essenziale conoscerle perché non si ripetano. Forse non basta un solo Giorno della Memoria per far fronte alla quantità di male che si è scatenato in quei campi, perché esso ancora serpeggia e a tratti si manifesta, senza che noi riusciamo a riconoscerlo, a dargli la giusta importanza, a chiamarlo con il suo nome vergnoso.

Fino al 13 maggio 2012

Thomas Geve

Qui non ci sono bambini. Infanzia e deportazione

www.museodiffusotorino.it