L’inferno di Dante: variazione sul tema

Alcune opere letterarie non ci abbandonano mai. Vivono nel tempo: si scoprono, si leggono, si rileggono, si riscoprono. E ad ogni lettura si rivestono di nuova pelle, capace di gettare una luce diversa sulla precedente. La Divina Commedia di Dante appartiene a una di queste. Non esiste epoca, da quando è stata composta, che non l’abbia affrontata; non uno scrittore, un lettore, uno studente che non se la sia trovata davanti almeno una volta nella vita. Una di quelle opere lette, rilette e riscoperte appunto, capace di dar vita a infinite reinterpretazioni. La Divina Commedia è stata dipinta – da Botticelli a Salvador Dalì a Renato Guttuso per citarne alcuni – , è stata declamata – si pensi alle letture televisive di Benigni o a quelle di Vittorio Sermonti nella basilica di Santa Maria delle Grazie di Milano -, è stata messa in scena – da ultimo la singolare versione acrobatica ideata da Emiliano Pellisari. E ogni volta compare una prospettiva differente, un’atmosfera imprevista, uno stile che esalta ora questo ora quell’altro dei molteplici tratti della Commedia.
Così è avvenuto anche per lo spettacolo A riveder le stelle, ideato dalla compagnia teatrale Il Laboratorio degli Archetipi e presentato nel corso della rassegna lodigiana Lodi al Sole 2010; una sintesi dell’itinerario dell’Inferno dantesco di cui si è voluto esaltare la potenza immaginativa e la carica di movimento attraverso il linguaggio ibrido del teatro, del circo e della danza.
Un cerchio di sabbia come palcoscenico, al suo interno si accende un cerchio di fuoco, cerchi come i gironi dello spazio infero nel quale si sta per discendere. E demoni-trampolieri, danzatori e attori si mescolano sulla scena per dar corpo al viaggio; una voce fuori campo declama i versi, ma il linguaggio gestuale si sovrappone a quello verbale, perché è un Inferno di espressioni fisiche e di moti. La Divina Commedia, e soprattutto l’Inferno, è strutturata sul movimento: movimento come viaggio e come percorso interiore; movimento imposto dall’esilio (e non a caso i cinque attori che impersonano Dante sono cinque extra-comunitari, che con lui condividono l’esperienza della lontananza dalla terra natia); movimento come susseguirsi di corse, inseguimenti, fughe. Si avvicinano, come fluttuando, insidiose le tre fiere; vorticano i lussuriosi spinti dal fiato che li mena di qua, di là, di giù, di sù; ondeggia il telo rosso della riviera di sangue del Flegetonte; avanzano con lenti passi sotto cappe di piombo gli ipocriti; a stento si muovono i traditori dolenti ne la ghiaccia.

La danza ritma la scena, i fuochi illuminano i duelli tra figure sataniche su trampoli rischiarando gli spazi d’ombra e richiamando alla memoria le mura infuocate e la pioggia di fuoco. Certo, lo spettacolo è nel susseguirsi delle scene un pò troppo omogeneo, si perde il senso delle accelerazioni e la musica d’accompagnamento non rende giustizia alle mugghia, strida e lamenti che sono la vera colonna sonora dell’Inferno; ma la dimensione teatrale ha saputo dare fisicità alla fantasia poetica, in un percorso inverso, ma molto simile, a quello di Dante che, attraverso la parola, ha reso reale e materiale il suo viaggio. E ancora una volta, sfruttando la potenza onirica del circo e la corporeità della danza – nonché le parole di Benigni – la Divina Commedia si è rivelata uno di quegli oceani in cui tuffarsi per trovare sempre nuovi tesori.