Marcelo Camelo. La musica brasiliana oltre la musica brasiliana

Marcelo CameloSe avete passato l’estate a imprecare contro Shimbalaiê e ne avete pieni i timpani di “s” striscianti e quant’altri biascichii, calma: non è il momento di sentenze premature. Il Brasile non è solo Maria Gadú e sol beijando o mar. Ne è prova Marcelo Camelo – cantautore e musicista carioca –, il cui debutto da solista è coinciso, non a caso, con un trasferimento dalla città-spiaggia Rio de Janeiro alla fin-troppo-città San Paolo (a proposito: e basta con questa storia di usare “carioca” per dire “brasiliano”! Provate a dire a un “paulistano” che è “carioca” e poi ne riparliamo. Carioca è chi nasce a Rio – e punto. È un po’ come essere romani e sentirsi definire “milanesi” o “napoletani” anziché “italiani”. O essere milanesi e napoletani e dover sopportare novanta minuti di “ed ecco la nazionale romana che attacca” e altre metonimiche eresie). Ma – parentesi a parte: che c’entra il trasloco? E chi è poi questo Marcelo Camelo?

I più avveduti ricorderanno forse che Camelo è stato il frontman dei Los Hermanos – rock band di Rio de Janeiro scioltasi a tempo indeterminato nel 2007. La maggior parte ricorderà invece i Los Hermanos per una certa Anna Julia, lagna tardo-adolescenziale divenuta mondialmente nota grazie alle cover di Jim Capaldi (feat. George Harrison) e altri mostri sacri della musica del Novecento come (l’indimenticabile) Daniele Groff. Il tormento emotivo causato in milioni di ragazzini e ragazzine da una melodia e un testo scritti quasi per scherzo ha portato poi all’inevitabile – e sacrosanta – decisione di eliminare il brano dalle scalette dei live. Non solo una scelta etica: a voler spezzare una lancia in loro favore, la canzone non rendeva infatti giustizia alle evoluzioni della band, che meritano ascolti più profondi e qualche pregiudizio in meno.

Fortuna che s’invecchia allora. E che si cambia città – dicevamo. Niente contro Rio – il cui mood spiaggesco continua anzi a riecheggiare nei suoi pezzi da solista –, ma a San Paolo Camelo ha trovato insieme una maturità compositiva senza precedenti e – soprattutto – gli Hurtmold, gruppo post-rock strumentale ingiustamente sottovaluto con cinque album all’attivo: una sorta di Tortoise in salsa tropicale. Dalla loro collaborazione sono venuti fuori due dischi per certi versi sorprendenti: Sou, del 2008 e il più recente Toque Dela, uscito nel Maggio del 2011. Che Sou sia qualcosa di davvero nuovo – sia per i parametri della musica brasiliana, sia per quelli dell’indie (post) rock europeo e nordamericano – lo si capisce sin dalle primissime note della traccia d’apertura: Téo e a gaivota. Scrosci di chitarre, piatti e xilofoni a rincorrersi qua e là in perfetto stile TNT. Poi i ritmi e la voce di Camelo ci riportano immediatamente sotto l’equatore. Ed è come star sdraiati sotto una palma in salotto guardando i grattacieli all’orizzonte.


[Téo e a Gaivota]

La commistione tra Chicago e Brasile continua ancora in Tudo Passa, per raggiungere poi l’apice in Menina Bordada. In entrambi i pezzi, un loop continuo di chitarre e cori si dilata sotto un incedere di batterie e percussioni – di ascendenze jazzistiche il primo, decisamente più marcettistico il secondo: una litania cha ha al contempo il sapore dell’ubriachezza, della nostalgia e del carnevale (che in Brasile è tutte e due le cose insieme).


[Menina Bordada]

Copacabana, invece, una marcetta lo è per davvero. Ma le tematiche affrontate sono quantomeno inusitate per i canoni del genere: si racconta di vento, vecchietti e centri commerciali. Appena dopo, Vida doce ritorna sullo schema chitarre semi distorte e percussioni incalzanti, ma con l’aggiunta di un assolo di piano che trasforma il brano in una quasi-salsa e il Brasile di Camelo – almeno per un momento – in una quasi-Cuba. In mezzo, il fischiettio di Doce Solidão – un po’ come a Andrew Bird, anche a Camelo piace fischiettare – e l’arpeggio di Janta, la cui seconda strofa è cantata in inglese dalla sua giovane compagna (e musicista) Mallu Magalhães. Dalle marcette alle marchette, si potrebbe dire. Ma quell’innesto un po’ Cocorosie valeva certamente la pena.

Insieme a Santa Chuva, Saudade e Passendo sono i due pezzi più introspettivi dell’album (e quasi interamente strumentali). Li troviamo in apertura (Passeando è la terza traccia), in mezzo (Saudade la nona) e in coda (alle due ultime posizioni). Questa volta però le parti si invertono: al contrario della prima – suonata interamente al pianoforte – la seconda versione di Saudade è solo voce e chitarra. Vice-versa Passeando: quattro minuti e mezzo di piano a mettere un giusto sigillo a un’opera che restituisce insieme una moltitudine di suoni e sensazioni e un’unicità di stile e pensiero. Diversamente da Sou, Toque Dela è molto meno vario e molto più rock. Strutture più classiche e riconoscibili, qualche ritornello e qualche chitarra in più. Si parte con A noite, il pezzo stilisticamente più simile all’album precedente. Anche qui spiccano tempi spezzati e xilofoni, stacchi e crescendo e un assolo di ottave che da solo vale mezzo disco.


[A noite]

Il primo singolo, Ôô, è invece uno di quei brani che non si può fare a meno di fischiare (sarà – di nuovo – che il leitmotiv è proprio un fischiettio). Si passa poi per un momento di malinconica e pacata esplosione con Tudo o que você quiser e Acostumar – un pestare continuo e ragionato di trombe, filicorni e piatti che ritorna tale e quale qualche traccia più avanti, in Vermelho – per giungere poi alle sonorità più rock di Pretinha.


[Pretinha]

Infine, Despedida – che si apre con un implicito richiamo a Marinheiro Só, brano della tradizione popolare reso famoso da Caetano Veloso: Eu não sou daqui (também) marinheiro – e Meu amor è teu chiudono il disco portando una ventata di leggerezza e allegria. Nel complesso, Sou e Toque Dela sono due dischi tra loro molto diversi. Sou è uno di quegli album che devi stare a sentire e risentire per giorni e giorni per poi scoprire – un giorno – che non puoi più farne a meno. Inizi a entrarci e pian piano saltan fuori nuove sottigliezze – le linee di chitarra in sottofondo, quelle noticine e quelle rullate che si incastrano alla perfezione. Toque Dela lo assimili molto più facilmente. Lo stai lì a canticchiare senza sosta e manco te ne accorgi. Ci piace. Ma l’incanto poco a poco è tutta un’altra cosa.