Il caso, la scoperta di un boia, i crimini di qualche tempo fa che ancora fanno ribrezzo

In questo disaggregato e morboso paese, l’Italia, spesso e volentieri ci si sente in balia del nulla. E se il nulla è già qualcosa, allora si è in balia del nulla meno, meno, meno. Si è stanchi di ogni richiamo e di ogni forma promozionale, e anche nella scelta di un libro, si lascia fare alla casualità, succeda quel che succeda. E si scopre che la casualità ha le sue ragioni e sa come manovrare il destino. Ho pescato a caso un libro nei banchi espositivi permanenti a ridosso di Castel Sant’Angelo, Roma, banchi più di residuati e roba per turisti che altro. L’occhio è caduto sul titolo Mastro Titta – il boia del papa Re, un libro della collana Scopri Roma di una casa editrice, Polo Books, specializzata evidentemente in tascabili mordi e fuggi. Il caso vuole che il libro, pur nella sua approssimazione contenutistica e interpretativa nonché grafica, abbia un suo perché e nel flusso dell’universo si immetta in un gioco di rimandi e corrispondenze. Il boia del Papa operava, più o meno proprio dove ora sono le bancarelle, fino a un secolo e mezzo fa, appena prima degli eventi risorgimentali decisivi in nome dei quali oggi si celebra o si tenta di celebrare una ricorrenza: i 150 anni d’unità d’Italia. È trascorso meno di niente rispetto ai cicli cosmici da che siamo una repubblica, da che siamo un paese unificato e unito sulla carta, uno stato nazionale, da che il Papa non è più re (o forse su questo punto occorre ancora rettificare), da che la giustizia non si esercita mandando a morire uomini e donne al patibolo in pubblica piazza. Siamo appena un po’ più civili da questo punto di vista. Per uno che è un ricordo, quanti “maestri di giustizia” e boia per conto di un’autorità suprema esercitano a pieno titolo ed eseguono condanne a morte di colpevoli? Il mondo è ancora pieno di maestri di giustizia presi e compresi nell’esercizio delle loro funzioni.

Curiosamente, poi, nella catena del gioco della casualità, casualmente scopro che nel 2010, sono uscite due edizioni dell’autobiografia di mastro Titta, al secolo Giovan Battista Bugatti, e cioè le Memorie di un boia (Barbès Editore, pp. 320, 8 €) e le Memorie di un carnefice scritte da lui stesso (Incontri Editrice, pp. 360, € 12). Che poi tanto autobiografia non è: è ormai noto che Bugatti non è il vero autore dell’opera, pubblicata per la prima volta nel 1891. Il boia di Roma, infatti, nella sua lunga vita si limitò a tenere un quaderno in cui trascriveva nomi, crimini e resoconti dettagliati delle modalità di esecuzione delle sue «giustizie». Queste memorie, rielaborate quando l’unificazione d’Italia era compiuta, e Roma si avviava ad essere città borghese e ministeriale, furono romanzate da uno scrittore (probabilmente Ernesto Mezzabotta) interessato a tracciare un quadro della Roma papalina e alle torpide vicende di cronaca nera.

Tornando invece al libro scelto a caso dal mazzo, elenca la molteplicità e varietà di metodi usati dal Medioevo in poi per mettere a morte i rei, e permette di farsi un’idea di come funzionasse la giustizia papale a Roma nell’ ‘800. Mastro Titta è passato alla storia perché operò per lo Stato Pontificio, in un lunghissimo periodo di tempo, 68 anni: dal 1796, appunto, fino al 1864, quando, già ottantacinquenne, fu messo a riposo da papa Pio IX che gli assegnò un vitalizio, e dovette cedere l’incarico al suo assistente, tale Vincenzo Calducci, che lavorò fino al 1870. Decapitazioni, squartamenti, mazzolate, frustate a morte, torture: erano queste le “specialità” di mastro Titta, che fece 516 esecuzioni capitali.

Esistenza senza fondo: chiamato ad eseguire la legge, una legge che puniva gli omicidi e non solo (anche chi aveva commesso talvolta reati comuni) uccidendoli, il boia era un criminale autorizzato dalla ragion di Stato a sopprimere altri criminale. Si racconta nel libro che era temuto ed avversato, costretto a una sorta di auto reclusione, viveva “in domicilio coatto, situato in Vicolo del Campanile 2, una traversa dell’attuale via della Conciliazione e pertanto situato nella zona vaticana, rione di Borgo, sulla sponda sinistra del Tevere”. Esercitava un occasionale secondo lavoro, era un “verniciatore di tele per ombrelli ordinari” che riparava e vendeva come un qualunque artigiano, con cui arrotondava lo stipendio pontificio. Certo è che con questo incarico, anche a salvaguardia della sua incolumità, non poteva oltrepassare il Tevere se non per motivi ufficiali. E così divenne d’uso dire “mastro Titta passa ponte”, volendo ad intendere che era imminente una pubblica esecuzione capitale, spettacolo gratuito offerto ai sudditi del Papa-re a scopo ammonitorio-intimidatorio, soprattutto presso ponte Sant’Angelo o a piazza del Popolo, ma anche in ogni luogo dello stato pontificio. Passava ponte, infatti, con indosso un mantello rosso che ora si trova al museo criminologico di Roma. Il pegno da pagare per la sua “carriera”, un isolamento a vita. “Era una figura temuta e rispettata, ma anche da evitare o di far finta di non vedere, qualora ci si fosse imbattuti in strada con lui”, racconta Maurizio Moretto nel libro. Nei diari, il boia di Roma racconta del suo esordio a fino a particolari raccapriccianti a dimostrare la sua abilità: “Avevo allora 17 anni compiti e l’animo mio non provò emozione alcuna”. Dopo l’impiccagione, annota il celebre boia, “staccato il cadavere, gli spiccai innanzitutto la testa dal busto e infilzata sulla punta d’una lancia la rizzai sulla sommità del patibolo. Quindi con una accetta gli spaccai il petto e l’addome, divisi il corpo in quattro parti, con franchezza e precisione, come avrebbe potuto fare il più esperto macellaio”. Diligente spietatezza, cinica freddezza, sono motivi persino di un auto elogio Tale orrendo spettacolo che si offriva alla vista dei sudditi del Papa re suscitò il ribrezzo di due celebri viaggiatori, i letterati George Gordon Byron e di Charles Dickens. Molto dettagliato il ricordo di Dickens nel suo libro “Lettere dall’Italia” di un’esecuzione: “Fu uno spettacolo brutto, sporco, ributtante; il cui unico significato non era altro che un’opera di macelleria”.

E ancora: “Il boia: un fuorilegge ex officio (quale ironia della giustizia) che per la vita non osa traversare il ponte di Sant’Angelo se non per svolgere il proprio lavoro, si ritirò nella sua tana e lo spettacolo poté dirsi concluso”. Crimini e criminali di Stato,hanno funestato la storia umana, e non sono ricordi del passato. Ci piace pensare che allo stesso modo del mantello di mastro Titta e del suo armamentario, anche gli accessori e i costumi di scena di ultratecnologici boia tuttora in servizio per conto di stati ammaestrati e maestri di democrazia e civiltà, divengano reperti da museo criminologico, unico spettacolo che sia di monito al genere umano.

One thought on “Il caso, la scoperta di un boia, i crimini di qualche tempo fa che ancora fanno ribrezzo

  • Gennaio 15, 2011 alle 7:56 pm
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    Ieri come oggi :
    Non vi è un tempo prefissato per amministrare la giustizia, o per eseguirla, in questo incomprensibile paese; PICTURES OF ITALY (Charles Dickens, 1846)

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