Partite, movimenti instabili e vertigini in un gioco chiamato vita

La vita, insomma, è molto solida o molto instabile?
Sono ossessionata da questa contraddizione. Dura da sempre, durerà sempre, affonda giù fino alle radici del mondo, quest’attimo in cui vivo. Ed è anche transitorio, fuggevole, diafano.
Passerò come una nuvola sulle onde.
(Virginia Woolf, Diario di una scrittrice)

Creature della vita che ci accerchia da ogni lato, ci lambisce e ci attraversa, impressionate nel parco giochi del mondo. Giocatori, ogni sport è buono per esibire l’unicità di una vocazione esistenziale, in dirittura d’arrivo verso orizzonti di forza etica, o messi all’angolo in un match corpuscolare. Partite, romanzo di Daniela Matronola, è una vertigine multipiano di momenti d’essere. Qualche tempo fa, una signora inglese che rispondeva al nome di Virginia Woolf è riuscita a rintracciare nell’aria il suono puro delle raffiche taglienti delle impressioni e a trascriverle in una prosa mai raggiunta come picchi di sentire. Quella signora ci ha insegnato che il corso umano altro non è che l’espansione e l’implosione alternate e caotiche di momenti d’essere.

Sentire il ritmo della vita, registrare onde o movimenti o un precipitare ripreso a rallentatore, è fondamento narrativo proprio anche di Daniela Matronola, strana creatura nel panorama narrativo italiano. Per puro caso italiana, persino nella fisionomia, Matronola è cantrice di vita, tra assolutezza di visioni e umorismo raffinato. Memore della lezione e della forza d’urto di Virginia, della sua capacità carsica di sprofondare nei tessuti oscuri dell’essere e di riemergere facendo affiorare lampi di significato, memore anche di una letteratura anglosassone frastagliata, vibrante, capace di riprodurre frammenti patologici o di mischiare i costringe ad avventurarsi in definizioni approssimative. E allora per evitar lo sforzo, la si è definita romanzo calcando però la mano sui tre movimenti che la contraddistinguono come si fosse entrati nelle risonanze segrete del mondo, o in un’opera da camera, perché circola suono nel generi per afferrare la vita, (da Thomas S. Eliot a David Foster Wallace,) Matronola ha creato un’opera che non sta dove la vuoi mettere elibro e di citazioni musicali ne contiene tante. Di questa bizzarria hanno discusso il critico Filippo La Porta e lo scrittore Paolo di Paolo nel corso di una presentazione-conversazione alla libreria Koob di Roma. Non importa qui fare minutaglia, né raccontare la trama, che pure c’è sia pura intrisa di micro narrazioni, o delineare il divenire dei personaggi vivi e pulsanti, perché non c’è niente di meglio che l’incontro diretto, la lettura. Invece si vuole dare un assaggio delle reazioni prodotte tra chi mastica narrativa e tanta ne smaltisce. Di Paolo ha sottolineato alcune caratteristiche dell’opera: capacità di ibridare i generi, facilità a passare dalla cultura alta alla cultura pop, l’utilizzo originalissimo delle note quale mai si era visto in un romanzo.

C’è poi l’assoluta intenzionalità nello svelare i trucchi del mestiere, operare a cuore aperto, comporre una anomala bibliografia dell’opera stessa, utilizzare i materiali di scarto e di preparazione come parti del racconto. Filippo la Porta, ha invece notato che è un tipo di letteratura “non tanto metanarrativa ma iper narrativa che si muove nel collages”.Se la letteratura è un’operazione che sgorga da una ferita, da una frattura, da discordanze dell’essere e pulviscoli emotivi troppo coagulati, secondo la lezione di Virginia, allora qui c’è qualcosa del genere. E al lettore è richiesta altrettanta presenza viva, empatia, capacità di sentire la vita dei personaggi, sentire dove va a parare, anche se sembra sconnessa, in qualche caso fino al suicidio (nel romanzo ce ne sono due di suicidi), anche se il filo è tenue, sembra non esserci, salta, ritorna, la traccia si volatilizza e richiede lo sforzo di saper vibrare come capita nei territori assoluti, sciolti, della poesia. Se la letteratura sta soprattutto nel come si dicono le cose, qui vige l’effetto disorientamento: “A me piace fare i ritratti che possono illuminare le zone d’ombra che l’autore stesso ignorava. È un libro fatto anche a forma di conversazione. I personaggi parlano a ruota libera”, ha detto Matronola. Ci sta anche una sensazione di stordimento. E perché non assaporarla? Partite, c’entra con lo sport ma solo come metafora. “Il punto centrale – ha chiarito l’autrice – è l’agonismo che non c’entra niente con la competizione o il successo, ma con la totale disponibilità a giocare la vera partita che è quella della vita. La partita è metafora di un’etica, di una vera e propria deontologia umana”.

Titolo: Partite
Autore: Daniela Matrocola
Editore: Manni
Dati: 2010, 264 pp., 20,00 €

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PARTITE, MOVIMENTI INSTABILI E VERTIGINI IN UN GIOCO CHIAMATO VITA

 

 

La vita, insomma, è molto solida o molto instabile?

Sono ossessionata da questa contraddizione. Dura da sempre, durerà sempre, affonda giù fino alle radici del mondo, quest’attimo in cui vivo. Ed è anche transitorio, fuggevole, diafano.

Passerò come una nuvola sulle onde.

(Virginia Woolf, Diario di una scrittrice)

 

Creature della vita che ci accerchia da ogni lato, ci lambisce e ci attraversa, impressionate nel parco giochi del mondo. Giocatori, ogni sport è buono per esibire l’unicità di una vocazione esistenziale, in dirittura d’arrivo verso orizzonti di forza etica, o messi all’angolo in un match corpuscolare. Partite, romanzo di Daniela Matronola, è una vertigine multipiano di momenti d’essere. Qualche tempo fa, una signora inglese che rispondeva al nome di Virginia Woolf è riuscita a rintracciare nell’aria il suono puro delle raffiche taglienti delle impressioni e a trascriverle in una prosa mai raggiunta come picchi di sentire. Quella signora ci ha insegnato che il corso umano altro non è che l’espansione e l’implosione alternate e caotiche di momenti d’essere.

 

Sentire il ritmo della vita, registrare onde o movimenti o un precipitare ripreso a rallentatore, è fondamento narrativo proprio anche di Daniela Matronola, strana creatura nel panorama narrativo italiano. Per puro caso italiana, persino nella fisionomia, Matronola è cantrice di vita, tra assolutezza di visioni e umorismo raffinato. Memore della lezione e della forza d’urto di Virginia, della sua capacità carsica di sprofondare nei tessuti oscuri dell’essere e di riemergere facendo affiorare lampi di significato, memore anche di una letteratura anglosassone frastagliata, vibrante, capace di riprodurre frammenti patologici o di mischiare i generi per afferrare la vita, (da Thomas S. Eliot a David Foster Wallace,) Matronola ha creato un’opera che non sta dove la vuoi mettere e costringe ad avventurarsi in definizioni approssimative.

 

E allora per evitar lo sforzo, la si è definita romanzo calcando però la mano sui tre movimenti che la contraddistinguono come si fosse entrati nelle risonanze segrete del mondo, o in un’opera da camera, perché circola suono nel libro e di citazioni musicali ne contiene tante. Di questa bizzarria hanno discusso il critico Filippo La Porta e lo scrittore Paolo di Paolo nel corso di una presentazione-conversazione alla libreria Koob di Roma. Non importa qui fare minutaglia, né raccontare la trama, che pure c’è sia pura intrisa di micro narrazioni, o delineare il divenire dei personaggi vivi e pulsanti, perché non c’è niente di meglio che l’incontro diretto, la lettura. Invece si vuole dare un assaggio delle reazioni prodotte tra chi mastica narrativa e tanta ne smaltisce. Di Paolo ha sottolineato alcune caratteristiche dell’opera: capacità di ibridare i generi, facilità a passare dalla cultura alta alla cultura pop, l’utilizzo originalissimo delle note quale mai si era visto in un romanzo.

 

C’è poi l’assoluta intenzionalità nello svelare i trucchi del mestiere, operare a cuore aperto, comporre una anomala bibliografia dell’opera stessa, utilizzare i materiali di scarto e di preparazione come parti del racconto. Filippo la Porta, ha invece notato che è un tipo di letteratura “non tanto metanarrativa ma iper narrativa che si muove nel collages”.Se la letteratura è un’operazione che sgorga da una ferita, da una frattura, da discordanze dell’essere e pulviscoli emotivi troppo coagulati, secondo la lezione di Virginia, allora qui c’è qualcosa del genere. E al lettore è richiesta altrettanta presenza viva, empatia, capacità di sentire la vita dei personaggi, sentire dove va a parare, anche se sembra sconnessa, in qualche caso fino al suicidio (nel romanzo ce ne sono due di suicidi), anche se il filo è tenue, sembra non esserci, salta, ritorna, la traccia si volatilizza e richiede lo sforzo di saper vibrare come capita nei territori assoluti, sciolti, della poesia. Se la letteratura sta soprattutto nel come si dicono le cose, qui vige l’effetto disorientamento: “A me piace fare i ritratti che possono illuminare le zone d’ombra che l’autore stesso ignorava. È un libro fatto anche a forma di conversazione. I personaggi parlano a ruota libera”, ha detto Matronola. Ci sta anche una sensazione di stordimento. E perché non assaporarla? Partite, c’entra con lo sport ma solo come metafora. “Il punto centrale – ha chiarito l’autrice – è l’agonismo che non c’entra niente con la competizione o il successo, ma con la totale disponibilità a giocare la vera partita che è quella della vita. La partita è metafora di un’etica, di una vera e propria deontologia umana”.