Giocare a Street Fighter fa bene al cuore

Qualcuno, forse in un moto di astio o di ironia, in misura del ritardo con cui consegno alle stampe questo breve mio scritto, ha sostenuto che la recensione sarebbe arrivata al suo editore quando il film in questione fosse divenuto ormai un classico della cinematografia di genere. Pari ai classici dissepolti del nostro Bava, levato al novero di maestro dell’horror nostrano, o di Di Leo, consegnatoci da chi si occupi di critica cinematografica quale punto di riferimento indiscusso del poliziesco, spolverato dopo una missione internazionale di recupero di generi considerati per troppo tempo di nicchia. Bene, nonostante la dissimulata vis polemica contenuta nei discorsi del nostro editore, le sue parole non possono dirsi profetiche. Di certo, l’ultima fatica filmica di Edgar Wright abbandonerà presto la memoria di chi l’abbia visto al cinema tra strepitosi lazzi e roboanti invenzioni d’immagine.

Spinto dalle discrete precedenti prove del regista inglese, avevo deciso di mettere la visione di questa pellicola nel numero delle cose da farsi celermente in questi giorni, prima che si concludesse il vigente anno solare (con buona pace dell’editore, torno a dire). Quella cui Wright ci aveva abituati era una filmografia votata alla parodia dei generi: cominciata col genere “zombie” di accezione romeriana con Shaun of the dead, culminata nella riscrittura dell’action movie con Hot Fuzz, in cui il regista-sceneggiatore ha gioco facile nel ricoprire di ridicolo le gesta tragiche e ingloriose di un giovane e volenteroso ispettore di polizia alle prese con la vita grigia della provincia inglese.

La scrittura di Wright, del resto, appariva divisa tra la parodia e una comicità dal sapore aspramente inglese, fatta di battute brevi e taglienti, di ore trascorse davanti ad infinite pinte di birra. In questo film il giovane regista si allontana da quelli che ci sembravano essere punti solidi della sua riflessione sul far cinema per dedicarsi alle vite di adolescenti desiderosi di crescere alla svelta. Per farlo utilizza come scheletro, su cui imbastire la trama degli eventi, gli schemi del videogioco Street fighter, vero pilastro delle ore di ricreazione di una intera generazione. L’idea di sfruttare i riti del videogioco per raccontare una storia, in verità, era venuta già  al fumettista canadese Brian Lee O’Malley (la cui opera è la fonte d’ispirazione), ma Wright la riprende trascendendo le intenzioni iniziali, mirando a costruire un plot centrato sulle vicende dei giovani protagonisti piuttosto che sulle possibilità d’interazione tra linguaggi (per intenderci, tra videogioco e film). Scott Pilgrim, il protagonista interpretato da Michael Cera, innamoratosi di Ramona, deve combattere contro una congrega di suoi ex fidanzati per poterne ottenere il cuore. E’ costretto così ad affrontare vari duelli con ognuno di loro per poter liberare la ragazza del fardello di un passato troppo pesante.

La prima, deviata,  impressione che se ne ricava è di quella di una vera innovazione, radicale, capace di dividere la stampa tra assolutamente favorevoli al progetto e ferocemente contrari. Gli oppositori evidentemente non hanno inteso l’ironia del racconto, hanno ravvisato nel gioco delle immagini un raffazzonato tentativo di mischiare le carte dei linguaggi senza pervenire ad un linguaggio che fosse davvero inedito, spiazzante. I giornalisti apertamente favorevoli si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, limitandosi a ripetere colle parole ciò che il regista ha cercato di dire attraverso un tranello di immagini che noi (gli stessi della scrittura tarda) giudichiamo interessante.

Ecco, il nostro giudizio si insinua nello spazio tra i due precedenti. Wright ha ancora una volta colpito nel segno, confezionando un film povero nella scrittura (le vicende dei protagonisti scadono nello stereotipo più volte), in fondo bello a vedersi. Soprattutto divertente nelle sequenze di combattimento, in cui è palese si strizzi l’occhio al migliore Tarantino, che per noi è quello del secondo volume di Kill Bill. Che vogliate divertirvi davvero o lasciar passare delle ore in una piacevolissima dimensione decerebrata, questo è il vostro film. Sappiate però che il divertimento avrà il costo di un abbandono senza riserve.

Buona visione.

Scott Pilgrim vs. The World – USA/CAN/GB, 2010
di Edgar Wright
con Michael Cera, Mary Elizabeth Winstead, Kieran Culkin
Universal Pictures – 112 min

nelle sale dal 19 Novembre 2010

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2 thoughts on “Giocare a Street Fighter fa bene al cuore

  • Dicembre 22, 2010 alle 6:28 pm
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    Street Figher è una saga che rientra tra i Classici nella seppure giovane storia dei videogiochi. Un caposaldo del genre beat’em up (o picchiaduro). Di recente ritornato in auge con una versione rivista anche nella direzione artistica: un capolavoro che ha ridato linfa vitale a un genere che si sarebbe fregiato a buon titolo del bollino col panda del WWF, praticamente “in estinzione”.
    Il videogioco Street Fighter, al contrario del film, non è da vivere “in una piacevolissima dimensione decerebrata”, è tecnico e complesso nell’esecuzione delle “combo” più spettacolari ed efficaci. Il sottoscritto, ormai pluridecano dei “giochini”, non è mai riuscito ad andare oltre ad un misero HADOUKEN! 🙁
    Vedrò questo film, mi hai convinto, anche se di solito gli esperimenti di commistione tra cinema e videogiochi sempre più diffusi), generano risultati dal terrificante al trascurabile. Vi metot in guardia dai film del “regista” Uwe Boll, che si sta mettendo d’impegno per devastare i videogiochi sul Grande Schermo…secondo me, è pagato dalle major cinematografiche, visto che i “giochini” fatturano più di box office e home-video messi insieme.

    • Dicembre 22, 2010 alle 6:41 pm
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      Lo leggo nelle tue righe, ma lo ribadisco: non era nelle mie intenzioni denigrare il videogioco, fatto a sé rispetto alla pellicola. Il tuo commento è decisamente competente. Ti sfiderei volentieri, ne avessi il modo.

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