Metti dei nani davanti a una cinepresa. Canteranno ‘ehihò’

Fin dalla prima pagina l’autore inglese mette subito in chiaro quale sia il tema del romanzo: la realtà. Realtà che lui definisce come una proprietà delle cose, dotata di tante sfumature, analogica e non digitale. Ed è proprio nelle sfumature della realtà che si insinua un’idea tanto folle quanto pericolosa, un’idea che conquista le persone e ne stimola l’inventiva, un’idea proveniente da oltre i confini degli universi, là dove esistono “le realtà grezze, i se-fosse, i potrebbe-darsi, i mai-successo, le idee folli, tutte create e disfatte caoticamente, come elementi di supernova in fermento.” Attraverso le crepe della realtà, Holy Wood sogna. Antica città maledetta, sommersa dal mare e dai ricordi, Holy Wood riprende a soggiogare le menti delle persone quando l’ultimo dei sacerdoti che doveva ricordarne la pericolosità muore senza che nessuno ne prenda il posto. Ha inizio così una storia di misteri e stranezze che un improbabile gruppo di eroi tenterà pian piano di dipanare, fino all’epico scontro conclusivo.

Su questa base Pratchett costruisce una spassosa avventura, scandita dal crescente numero di palle di ferro sparate dal resometro – bizzarro strumento progettato da un vecchio mago per misurare i disturbi della realtà – e arricchita da una galleria di personaggi azzeccatissimi: venditori di salsicce che diventano manager cinematografici, arcimaghi appassionati di caccia, stupidi troll innamorati, nani che cantano ‘ehihò’ tutto il tempo. Splendida la trovata degli animali parlanti (un gatto, un topo, un coniglio e un’anatra dalla parlata incomprensibile; ricordano qualcosa?), fra i quali spicca Gaspode il Cane Prodigio, piccolo scarno e cinico, protagonista del romanzo insieme all’eterno studente Victor e all’ambiziosa Ginger. Non mancano poi certe vecchie glorie del Mondo Disco: il scimmiesco Bibliotecario, il Patrizio e Morte, che parla solo in stampatello.

L’introduzione del cinematografo non solo sconvolge i già malmessi equilibri del Mondo Disco ma contribuisce anche a rendere Stelle cadenti diverso dagli altri libri della saga. Questo perché, benché Pratchett fosse abituato a seminare anacronismi nelle sue storie, la presenza di una città del cinema in un mondo fantasy diventa un enorme anacronismo a sé stante, che accentra su di sé tutte le attenzioni e finisce col diventare, con la sua egocentrica illusorietà, la vera protagonista del romanzo.

Dal punto di vista stilistico c’è da dire che a volte le scene d’azione sono piuttosto confuse e che alcune fra le tante scenette comiche risultano forzate ma ciò non sminuisce la solidità di una trama credibile e ben ritmata. Soprattutto, ciò non toglie che leggendo Stelle cadenti ci si peli dalle risate. Saper far ridere per iscritto è quanto mai difficile ma Pratchett ci riesce grazie a un sense of humor intelligente e mai volgare, la cui resa è massima nei dialoghi.

Pur lanciando parecchie sarcastiche frecciate sul mondo del cinema (o meglio, dell’industria del cinema), Pratchett preferisce puntare più sulla parodia che sulla satira, giocando con gli stereotipi hollywodiani con la stessa umoristica inventiva con cui per anni ha giocato con gli stereotipi del fantasy. Si cita Casablanca, si allude a Via col vento, si richiama, a parti invertite, la scalata di King Kong al grattacielo e altro ancora.

Insomma, un libro da leggere, sia che siate fan dell’autore inglese, sia che vi ci accostiate per la prima volta, sia che siate lettori accaniti di fantasy, sia che vogliate semplicemente ridere di gusto, evadendo fra le stranezze di un assurdo mondo piatto, sorretto da quattro enormi elefanti in piedi sul dorso di A’Tuin, la Grande Tartaruga Astrale.

Titolo: Stelle cadenti
Autore: Terry Pratchett
Editore: TEA
Dati: 2010, pp.332, euro 8,60

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