Quattro squatter sensibili ai tempi della crisi

Ci sono poche certezze nella vita e con il passare degli anni sembra che diventino sempre meno. Un povero lettore naufrago in balia delle migliaia di nuovi titoli e nuove voci che continuamente vanno ad aggiungersi alla marea del panorama letterario, però, può stare sicuro di poter contare su un approdo garantito, un porto che con una regolarità estrema si apre ai naviganti con una scadenza da festa comandata. Ogni anno, infatti, è indubitabile che girando tra gli scaffali di una libreria si scorgerà in esposizione un nuovo romanzo di Paul Auster – scrittore newyorkese noto ai più per la Trilogia di New York, la sua superba opera prima in ambito romanzesco.

Paul AusterIl sessantatreenne Auster, nonostante nelle interviste sembri sempre lasciar trasparire una certa mancanza di idee riguardo ai suoi progetti futuri, si è ormai tramutato in un vero e proprio stacanovista della macchina da scrivere. Se per quanto riguarda i quattro o cinque romanzi che hanno preceduto l’ultimo Sunset Park, non si può dire che questa frenesia creativa abbia dato dei frutti completamente all’altezza delle aspettative, proprio la fatica pubblicata da Einaudi nel novembre scorso restituisce, finalmente, un Paul Auster quasi al massimo della forma.

Forse quest’ultimo romanzo non raggiunge il livello intricata bellezza della già citata Trilogia o di Leviatano, e non possiede neanche quel fascino perturbante di Nel paese delle ultime cose e La musica del caso, ma bisogna anche rilevare che la scrittura di Auster è cambiata molto negli anni e maturando l’autore sembra essersi allontanato sempre di più dalle kafkiane metafore filosofiche dei titoli appena citati, per alcuni eccessivamente complicate e a tratti cervellotiche, per prendere una direzione decisamente più emozionale e forse più calda rispetto a prima.

Il punto di forza di Sunset Park non risiede tanto nell’interessante e ben riuscita trovata di cambiare punto di vista ad ogni capitolo, quanto in alcuni passaggi realmente toccanti, in cui lo stile pulito ed essenziale dello scrittore è il tramite perfetto per creare una perfetta empatia tra il lettore e i personaggi e le loro vicende. Il libro scorre via veloce, nonostante superi le trecento pagine, e conferma Auster come un maestro assoluto della narrazione.

La vicenda ruota attorno ad un gruppo di quattro ventenni, due uomini e due donne, che si trovano a condividere abusivamente una casa abbandonata nel quartiere popolare di Sunset Park, a Brooklyn – a poche centinaia di metri di distanza da dove vive realmente lo scrittore –, durante il periodo iniziale della recente crisi economica. Uno di questi, Miles Heller, arriva nella casa dopo essere dovuto fuggire dalla Florida, dove lavorava recuperando gli oggetti lasciati negli appartamenti abbandonati e dove viveva con la fidanzata minorenne, perché la crudele sorella di quest’ultima voleva utilizzare la loro relazione illecita per obbligarlo a rubare alcuni degli oggetti per lei. Veniamo a sapere che Miles è un ragazzo intelligente e profondo, ma problematico, estremamente chiuso in se stesso e totalmente privo di ambizioni. Ha passato gli ultimi sette anni della sua vita in una sorta di esilio autoimposto, girovagando di lavoro in lavoro per gli Stati Uniti, dopo aver abbandonato la sua famiglia, senza dire una parola, a causa di un incidente traumatico che ha segnato la sua esistenza e quella dei suoi genitori. Un altro dei quattro coinquilini, Bing, oltre ad essere l’iniziatore dello “squatteraggio”, funziona anche da tramite tra Miles ed il padre, fornendo a quest’ultimo le informazioni che ha riguardo al primo.

AusterÈ proprio il rapporto tra il padre e il figlio, il loro lento riavvicinarsi l’uno all’atro descritto con delicatezza e privo di qualsiasi patetismo, a risultare la vera spina dorsale del romanzo. Le riflessioni e le vicende di Morris Heller, il padre di Miles, che occupano la parte centrale del romanzo, sono senza dubbio la sua parte meglio riuscita. Lo stesso vale per tutti gli altri rapporti interpersonali che si creano tra i protagonisti mano a mano che la storia prosegue. Si ha quasi la sensazione che i personaggi si accendano proprio quando interagiscono l’uno con l’altro. Allora Ellen, la depressa e sola agente immobiliare che sogna di fare la pittrice, ha il suo momento di grazia quando decide di abbandonarsi alla sua intensa, e tratti perversa, curiosità sessuale decidendo di ritrarre se stessa nuda e poi utilizzando Bing come modello. Solo la relazione tra Miles e Pilar – la fidanzata minorenne – appare un po’ stiracchiata, poco significativa e intrigante.

Chi conosce Paul Auster sa bene che in tutti i suoi romanzi, ad un certo punto, succede qualcosa che sconvolge completamente le vite dei protagonisti, e il finale ottimamente congeniato di Sunset Park, per fortuna, non è un eccezione a questa regola.

È dal bellissimo Il libro delle illusioni del 2002 che Auster non pubblicava un romanzo così ispirato e pieno di spunti di riflessione. Forse non è un capolavoro e certe insistenti ripetizioni di temi – come il ripresentarsi incessante del film I migliori anni della nostra vita, amato alla follia da tutti i personaggi a cui è capitato di rivederlo, guarda caso, pochi giorni prima che gli venisse nominato da qualcuno – o di frasi, risultano stucchevoli, però fa certamente ben sperare per l’immancabile uscita del prossimo anno.

Titolo: Sunset Park
Autore: Paul Auster
Editore: Einaudi
Dati: 2010,  222 pp., 19,50 €

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