Il tempo per partire, il tempo per cambiare, il tempo per ritornare

Questo libro, come spesso accade, è entrato nella mia vita per caso, consigliatomi da una persona il cui giudizio è sempre stato ispiratore.

L’ho approcciato con una certa diffidenza:
– è un’opera prima
– i temi sono quelli – triti e ritriti – della migrazione sud/nord/sud, e del viaggio interiore di un (non più) giovane in piena crisi di identità.

Ho divorato invece Terzo tempo in un giorno e mi sono resa conto di quanto quel tema del viaggio e soprattutto del ritorno, per me, che migrante sono stata e sempre sarò, continui ad essere coinvolgente. Non importa quanto lontano tu vada, sembra dirci l’autore per bocca del protagonista. Le tue radici sono lì, e urlano forte, sempre più forte con il passare del tempo. E, ritornare nel luogo in cui sei cresciuto, senza riuscire più a collocartici, ormai fuori contesto, è un’esperienza che vale la pena di raccontare: per esorcizzare forse, per condividere anche, per una indefinita urgenza espressiva  più probabilmente.

Cerchiamo di scoprire qualcosa di più con l’autore, Raffaele Palmieri.

D: Si sente spesso dire che “in Italia tutti scrivono libri, ma in pochi li leggono”. In realtà, sappiamo quanto difficile sia farsi pubblicare e poi distribuire. Qual e´ stata la tua esperienza, da – passami il termine – neofita del settore editoriale? Illusioni, aspettative, disillusioni d´autore.

R: Che molti scrivono e pochi leggono è un dato di fatto. Farsi pubblicare a pagamento è la cosa più facile del mondo; in Italia facilissimo. Le mie esperienze con il mondo dell’editoria non sono state finora buone: conservo a casa quattro proposte di pubblicazione a pagamento ricevute tra fine 2008 e i primi mesi del 2009 (media 3.000/4.000 euro per 350 copie circa). Non le ho buttate solo perché, se un domani dovessi affermarmi, mi piacerebbe poter dire che ho resistito alle sirene della pubblicazione a pagamento (tra i 4 offerenti ce n’è uno che da anni fa pubblicità sui principali quotidiani e ora anche in televisione). Invito tutti i principianti a dire no in maniera secca a proposte del genere. Per il resto, trovo che – in generale – ci sia poca professionalità nel mondo editoriale, anche perché girano pochi soldi, e con la crisi ancora meno.

D: Rifacendomi ai luoghi comuni, perché tutti vogliono diventare scrittori? Per dirla tutta, perché uno come te, che nella vita fa tutt´altro, ha deciso di scrivere e di farsi leggere?

R:
Partiamo da un po’ più lontano. Non sono stato un grande lettore da ragazzo e ho iniziato a scrivere a trent’anni passati: mi sono iscritto a un corso di scrittura a Milano dopo aver letto un annuncio su La Repubblica. Questo corso mi ha aperto un mondo, anche se sul piano della tecnica non mi ha insegnato più di tanto (ma forse non era questo l’obiettivo). Da allora, ho pensato – con la presunzione insita in questo genere di considerazioni – di poter esprimere la mia visione del mondo attraverso la scrittura. Mi associo, poi, a coloro che assegnano alla scrittura – intesa come ri-elaborazione delle proprie esperienze – una funzione catartica. Prendo le distanze (addirittura mi rifiuto di leggere) da coloro che parlano della scrittura come “tormento”, e che scrivevano sin da quando erano piccoli … Cazzate.

D: Ispirazioni e contaminazioni. Banalmente: quali sono le tue letture e quanto ti hanno influenzato.

R: Beh, prima di tutto Raymond Carver (che ho scoperto nel corso di cui ti parlavo prima): non è il mio scrittore preferito, però rimane per me un modello di coerenza e di onestà, che chiunque si avvicina alla scrittura dovrebbe avere: niente “trucchi”; ogni parola va misurata, l’autenticità come valore. È lo scrittore del quale – in tutta modestia – riconosco su di me la massima influenza. Poi John Fante e Bukowski – grandissimo scrittore di racconti, ma attenti a imitarlo; poi modelli inarrivabili come G.G. Marquez. Negli ultimi anni ho scoperto Ian McEwan, una vera e propria folgorazione. Tra gli italiani Ammaniti, Veronesi e Diego De Silva.

D: Il “terzo tempo” del titolo corrisponde (o almeno così l´ho interpretato) ad una nuova fase di vita, quella della consapevolezza. Ma la consapevolezza non e´ una soluzione, anzi, lascia un po´ di amaro in bocca. La tua terza fase e´ la scrittura? Quanto il libro e´ autobiografico? La scrittura e´ una soluzione?

R: Hai interpretato benissimo: il terzo tempo dovrebbe essere una fase di ri-partenza per il protagonista, dopo aver lasciato alle spalle due “fasi” della propria vita. Questa consapevolezza nemmeno per lui è una soluzione, ma almeno è un taglio deciso rispetto al passato che l’ha finora condizionato. Il libro è autobiografico nei luoghi, nelle ambientazioni e in vicende del protagonista che io ho vissuto realmente (il trasferimento dalla Basilicata a Milano, l’infanzia in un piccolo paese del Sud). Però molti episodi sono inventati, anche se trasmettono – mi auguro proprio! – un senso di autenticità perché conosco la psicologia dei personaggi e gli ambienti nei quali essi si muovono in quanto ho vissuto per 23 anni in questi posti e da oltre venti vivo a Milano, proprio come il protagonista di Terzo tempo

D: Sia il cinema che la narrativa italiana – fatte salve alcune, anche illustri, eccezioni – sono strettamente legate a tematiche esistenzialiste o, tutt’al più, storico-sociali: la mafia, la famiglia, la crisi degli “enta”, quella degli anta, la guerra, l´emigrazione, gli anni di piombo. Perché insomma noi Italiani, popolo di creativi, abbiamo difficoltà ad uscire dagli schemi? O piuttosto e´ il mercato che, prepotente, impone le sue regole? Detta in sintesi: pensi che agli Italiani non interessino altri generi (la fantascienza, il fantasy, l´horror) o che semplicemente non sia nel nostro DNA produrre cose “differenti”?

R: Direi che il cinema e la letteratura italiane sono ancora connotate da tematiche storico-sociali e – soprattutto in letteratura – “generazionali”. Detto questo, paradossalmente, specie, in narrativa, tale caratterizzazione in termini di mercato “non paga”: infatti se è vero che gli italiani leggono poco, la narrativa di genere (anche quella dozzinale, ahimè) – noir, giallo e fantascienza – ha ampie fette di mercato. Farsi pubblicare un libro di fantascienza o un giallo credo sia tuttora molto più facile, per un esordiente, che farsi pubblicare un romanzo mainstream.

D: Progetti per il futuro: scrittore a tempo pieno?

R: Mah… il mio “sogno” è di fare lo scrittore a tempo pieno, ma sai quanto è difficile. A breve presenterò  Terzo tempo nell’ambito di una rassegna molto interessante organizzata dal Comune di Segrate; poi lo presenterò presso la “Società Umanitaria” di Milano, dove da circa tre anni tengo un corso di scrittura creativa: un’esperienza bellissima, sia sul piano umano – per gli aspetti relazionali – che su quello della scrittura, perché la necessità di insegnare impone di razionalizzare e sistematizzare nozioni di tecnica (struttura, personaggio, dialogo ecc. ) per trasmetterle agli altri. L’esperienza del corso è quella che mi ha consentito di mettere in pratica l’insegnamento carveriano: non posso insegnare nulla agli allievi – numerosi e affezionati, ormai – ma posso condividere con altri, interessati alla narrativa sotto il duplice profilo di scrittori e lettori, quello che ho imparato apprendendo dagli altri (scrittori, meri insegnanti di scrittura creativa, manuali). Ho da poco terminato il mio secondo romanzo: con molta presunzione dico che il modello di riferimento è stato in questo caso McIewan. Spero di trovare un editore che mi assista, questa volta, anche nelle attività di promozione del libro… una volta editato.

Pubblicato nel 2009, il libro è stato distribuito in pochissime città. È arrivato a Roma solo a Novembre 2010.

Titolo: Terzo Tempo
Autore: Raffaele Palmieri
Editore: Arduino Sacco
Dati: 2009, 164 pp., 18.00 €

 

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