Chi l’avrebbe mai detto, una persona così perbene…

Oggi parliamo di assassini schizofrenici. In particolare, parliamo di quella categoria di assassini schizofrenici che, quando vengono infine scoperti, sconvolgono le vite della comunità di cui fanno parte, non solo per l’efferatezza dei loro delitti ma anche, e soprattutto, per la loro insospettabilità.
Fintanto che il Male ci fissa coi suoi occhi iniettati di sangue e la sua bocca sbavante rabbia, allora non c’è problema. O meglio, c’è, ma lo sappiamo identificare, lo riconosciamo, possiamo isolarlo e combatterlo. Che fare, invece, quando il Male ha un volto rassicurante, magari innocuo, o addirittura affidabile? Che fare quando il killer sociopatico si nasconde dietro il viso e la vita di Lou Ford, vicesceriffo di una piccola città del Texas? Lou è tranquillo, forse a volte un po’ noioso ma di certo è un brav’uomo, di quelli che sanno ascoltare e che hanno interessi per i problemi degli altri. Peccato solo che nella sua testa ci sia qualcosa che non va, un qualcosa che affonda le sue radici nel passato, un qualcosa che ha a che fare con la violenza e con le donne.
Pienamente consapevole della propria situazione, è lo stesso Lou a raccontarci di quella sua ‘malattia’ che ora, dopo quindici anni, potrebbe tornare ad affliggerlo. L’elemento scatenante è l’incontro con l’affascinante prostituta Joyce; qualcosa torna a galla “e fu come un vento che soffia su un fuoco morente” ci dice Lou, mentre nella sua testa, oltre alla ‘malattia’, riprende corpo una vecchia idea, un conto in sospeso da saldare. Il passo per arrivare al primo omicidio è breve; caduta la prima tessera, le altre seguono a ruota e Lou procede così, delitto dopo delitto, fino all’inevitabile resa dei conti con sé stesso e col resto del mondo.
E mentre tutto ciò accade, Lou ci rende partecipi dei suoi pensieri, della sua emotività dissociata, delle sue paranoie, della logica spietata eppure terribilmente coerente che sta dietro a ogni sua azione. Se già l’idea di un Male che non ringhia e sbava ma si cela sotto spoglie normali ci spaventa, conoscerne i processi mentali diventa ancora più inquietante perché si scopre che, tutto sommato, non sono poi tanto diversi dai nostri. Lou non è un subdolo malvagio e perverso, né uno dai pensieri totalmente sconnessi; Lou è un essere umano, con le sue paure, le sue incertezze, i suoi amori. In più momenti – e qui sta il grande merito di Thompson – non possiamo fare a meno di provare un’agghiacciante e spontanea empatia per lui.
E quando, verso la fine, Lou ha modo di confidarsi con un terribile avvocato, si è quasi contenti che il nostro protagonista possa finalmente condividere con un altro essere umano il suo peso, e quasi ci dimentichiamo di avere a che fare con un pluriomicida schizzato che si sta confessando a un uomo spregevole, la cui “idea di giusto e sbagliato non va troppo d’accordo con quel che si legge sui libri”. Il dialogo fra questi due personaggi è uno dei migliori del libro ed è il preludio al drammatico finale.
Un libro potente, insomma, scritto con quello stile asciutto e raffinato che solo un maestro come Thompson può avere.


Titolo: The killer inside me
Autore: Jim Thompson
Editore: Fanucci
Dati: 2010, pp.219, euro 16