Vi racconto una storia. La storia di Un fatto umano

Chi tra di noi, non riconosce nelle figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino due esempi di straordinaria virtù umana e professionale? Chi non riconosce il merito di questi uomini, giudici, eroi di aver scosso un Paese che iniziava esattamente nell’anno della loro morte ad assistere allo smantellamento di un sistema politico e istituzionale vecchio di quarant’anni?

Era la primavera e poi l’estate del 1992, alcuni di noi avranno un ricordo nitido di cosa successe, qualche immagine, episodi personali legati in questo come in altri eventi alla biografia di una nazione. Altri invece, magari sanno, ma poco ricordano.

Per gli uni e per gli altri, Einaudi propone Un fatto Umano di Manfredi Giffone, Fabrizio Longo, Alessandro Parodi (Stile Libero Extra 24,00 Euro). Quasi quattrocento tavole a fumetti che ripercorrono la storia del pool antimafia. E lo fanno ricostruendo dettagliatamente la Sicilia e l’Italia in quasi trent’anni di storia, chiamando in appello tutti tra uomini di mafia, commissari, giudici, politici, bancari, giornalisti, personaggi dello spettacolo e d’affari che entrarono in contatto diretto o indiretto con Cosa nostra. E a raccontare questa lunga storia, a tessere le fila di vicende complesse e apparentemente slegate tra loro, ecco che compare uno dei più classici artifici letterari: un cantore, Mimmo Cuticchio, che come nella realtà (è come tutti gli altri protagonisti di questa storia, un personaggio realmente esistente) inscena uno spettacolo inusuale nel teatro dell’Opera dei Pupi.

Il progetto che ci troviamo tra le mani, sfogliando Un fatto umano, è ambizioso, complesso, coraggioso. Intimorisce il lettore disinteressato, con le prime e dense tavole, avvince il lettore curioso in tutte quelle seguenti mescolando cronaca, storia e umanità. Un’umanità raccontata ed espressa dai volti di animali che ricalcano come maschere i lineamenti di tutti gli attori di questa tragica storia.

Sulla gestazione dell’opera abbiamo fatto qualche domanda allo sceneggiatore Manfredi Giffone, che ci ha raccontato di come è nata l’idea, di com’è raccontare di questi temi, e di com’è farlo scegliendo il linguaggio complesso del fumetto.


D: In una nota introduttiva spieghi chi è Mimmo Cuticchio, il narratore che hai scelto come cornice della storia che hai deciso di raccontare. Cosa ti ha spinto invece a parlare di fatti di mafia?
R: 
Quando ho iniziato a raccogliere materiale per questa storia, grosso modo sei anni fa, già da un paio di anni insieme ai disegnatori Fabrizio Longo e Alessandro Parodi cercavamo una storia. Volevamo raccontare una storia ambientata in Italia e che si distinguesse dai temi che venivano trattati fino a quel momento nei fumetti mainstream. Dopo aver scartato un’infinità di ipotesi, una sera, parlando con la mia compagna, lei da buona palermitana con nonchalance mi disse “ma perché non raccontate la storia di Falcone e Borsellino?”. E mi si è accesa la lampadina. In un istante ho come “visto” tutta la storia e istintivamente ho pensato che potesse funzionare.

D: Tu all’epoca dei fatti che racconti eri poco più che un bambino. Hai ricordi particolari di allora?
R:
 All’epoca delle stragi di Capaci e via D’Amelio avevo 14 anni. La cosa su cui ho riflettuto a lungo in questi anni in cui ho lavorato al libro, non sono stati i ricordi che io ho dell’epoca quanto l’esatto contrario. Il giorno della strage di Capaci io non ho assolutamente idea di dove fossi e cosa stessi facendo. Non riesco a ricordarlo. Tanto che mi è venuto persino il dubbio di non aver appreso affato la notizia.

D: Questo è curioso se messo a confronto con il lavoro che sembra esserci dietro alla costruzione di questo libro… Nella storia  ci sono connessioni puntuali, senza reticenza alcuna su luoghi, tempi e soprattutto nomi. Come hai tessuto la trama della storia?
R: Ho fatto un lungo lavoro preliminare di documentazione. Poi fin da subito, prima di mettermi sulla sceneggiatura vera e propria, ho iniziato a redigere una cronologia, un file dove mi sono andato appuntando tutte le date e relativi avvenimenti che ritenevo interessanti, in un periodo compreso fra il 1968 e il 1992. Da questo file che, arrivato alla 26esima versione, conta circa 400 pagine, ho poi distillato con un po’ di fatica una trama che fosse il più comprensibile e coerente possibile.

D: Ti sei mosso con uno scopo narrativo, di finzione o di denuncia? Da ciò che racconti sembra quasi che i due moventi si siano in un certo senso avvicendati…
R: L’intenzione iniziale era quella di raccontare al meglio la storia di Falcone e Borsellino e del pool antimafia. Poi mi sono reso conto che non si poteva raccontare l’antimafia senza spiegare cosa fosse stata la mafia degli anni ’80. Ma per farlo, a mia volta dovevo andare ancora a ritroso e partire dalla fine degli anni ’70. E a quel punto mi sono reso conto che la mole di informazioni che dovevo riportare mi stavano portando su una strada ben diversa dalla narrazione di fantasia.
Ho potuto inventare molto poco alla fine. Ma ho cercato per quanto mi è stato possibile di tenermi lontano anche dalle sirene della “denuncia” o della retorica antimafia. Ho cercato di avere uno sguardo direi quasi distaccato. Ogni elemento è stato valutato a lungo prima di essere inserito nella trama o scartato.

D: Questo è molto chiaro: sembra che ogni parola sia stata calibrata al millimetro in ogni dialogo. In generale le stragi di Capaci e via D’Amelio sono due episodi molto noti della storia recente. Ma tutto quello che si allarga intorno ai singoli eventi, e che tu descrivi, è meno conosciuto e spesso non correlato dall’opinione comune. Pensi di aver creato con le tue ricerche dei collegamenti mai paventati prima? Di aver detto qualcosa che un lettore non avrebbe fino ad ora potuto leggere altrove?
R: No, non penso. Al massimo penso di aver ribadito dei concetti che magari erano stati pian piano dimenticati nelle pieghe della cronaca, come un interessantissimo discorso di Rocco Chinnici a un convegno di magistrati del 1982, o aver messo in scena degli avvenimenti che hanno trovato un loro definitivo chiarimento solo in tempi recenti. Penso ad esempio alla morte di Sindona. Per anni si è rimasti incerti se propendere per la tesi dell’omicidio o del suicidio, mentre ormai è ragionevolmente accertato che si è trattata della seconda ipotesi: un suicidio con il cianuro che simulava un omicidio per avvelenamento. E ci sarebbero altri esempi del genere. Diciamo che mettendo insieme le tessere del puzzle la vicenda assume un contorno un poco più chiaro. Ma le tessere erano e sono a disposizione di tutti. Il disegno centrale alla fine è sempre quello ma potrebbero cambiare i contorni.

D: Mai, quindi, hai avuto paura mentre scrivevi o a lavoro finito, delle conseguenze che il tuo libro avrebbe potuto scatenare?
R: Ogni tanto il dubbio è affiorato, ma devo dire che al di là delle suggestioni da cui possiamo essere stati influenzati ogni tanto noi tre autori, ragionando ogni volta a mente fredda siamo arrivati alla ragionevole conclusione che non è che stessimo correndo chissà quale rischio. Certo, dal punto di vista legale ci siamo tutelati il più possibile: ogni scena che abbiamo raccontato è riconducibile a una fonte, citata nell’apposita bibliografia.

D: Tre autori, infatti. Come hai lavorato con gli illustratori? Hai influenzato alcune scelte grafiche, o a tua volta sei stato influenzato dalle tavole che ti proponevano?
R: Abbiamo lavorato in un modo leggermente inusuale per un fumetto e forse in special modo per un fumetto italiano. Anche se i compiti hanno seguito la classica divisione sceneggiatore-disegnatori, abbiamo portato avanti il lavoro insieme. Partendo dalla sceneggiatura per ogni tavola Alessandro e Fabrizio hanno prima realizzato un layout che correggevo dove c’era bisogno. Poi dal layout si passava alle matite e alle ultime modifiche e solo a quel punto passavano alla fase finale dell’acquerello e delle rifiniture. La ricerca del materiale iconografico a partire dalle mie informazioni l’abbiamo fatta insieme, avvalendoci di ogni fonte possibile, film, documentari, foto d’epoca e anche foto realizzate ad hoc da me in vari sopralluoghi in Sicilia. Quindi direi che ci siamo influenzati reciprocamente per tutto l’arco della lavorazione.

D: I personaggi che rappresentate sono animali antropomorfi, alcuni molto riconoscibili (Falcone un gatto, Borsellino un cane) altri, almeno per una lettrice poco attenta alla zoologia, molto meno. Se un rapporto di filiazione con Spiegelman è banale, c’è da dire che la vostra declinazione dell’idea è totalmente diversa. Avete lavorato cercando delle somiglianze? O c’è un richiamo simbolico nella scelta degli animali?
R: L’idea di usare gli animali mi è venuta dopo aver letto Blacksad di Canales e Guarnido e quando l’ho proposta a Fabrizio e Alessandro l’hanno ritenuta convincente. Hanno preparato dei bozzetti preliminari di alcuni personaggi principali e ci sembrava che la cosa funzionasse. Poi da quando ci siamo messi al lavoro in maniera seria, ognuno dei circa 200 personaggi è stato reso a seconda della somiglianza, specie se si trattava di un personaggio importante come Falcone o Borsellino, e che dunque dovesse essere estremamente riconoscibile. Oppure abbiamo pensato a degli abbinamenti con un animale che suggerisse l’idea del carattere del personaggio. In un certo numero di casi siamo riusciti a unire le due cose, in altri, ma in numero tutto sommato minore credo, ci siamo lasciati andare alla metafora animale per indicare la funzione del personaggio: i segugi sono in generale giudici istruttori o investigatori e così via.

D: Il libro è uscito circa da tre settimane. Cosa ti aspetti? Come si vive il periodo dopo un lavoro così grande, così lungo? Hai già in mente nuovi progetti?
R: Non ho sinceramente idea di cosa stia succedendo davvero, se il libro stia andando bene o meno. Vedo che stanno uscendo diverse recensioni e che sono positive e questo fa di certo un grande piacere. Ma non c’è molto tempo per fermarsi a rallegrarsene perché al momento siamo impegnati in modo piuttosto intenso nel cercare di promuovere quanto più possibile il nostro lavoro. Quindi direi che dopo un lavoro così lungo c’è ancora tanto da fare, anche se sicuramente cercare di raccogliere i frutti di una lunga gestazione è un’occupazione di gran lunga più piacevole che stare seduti per ore davanti al computer o chini sul tavolo da disegno. Insomma stiamo ancora lavorando a Un fatto umano e per il momento quindi non ho in mente altri progetti.

Titolo: Un fatto umano. Storia del pool antimafia
Autore: Manfredi Giffone, Fabrizio Longo, Alessandro Parodi
Editore: Einuaudi (Stile Libero Extra)
Dati: 2011, 24,00 €, 375 pp.

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