Web 2.0: sta al viandante postmoderno tracciare la propria rotta

“La natura dell’uomo è l’artificio”, sosteneva con incredibile anticipo sui tempi il filosofo francese credente Emmanuel Mounier, morto a soli 45 anni nel 1950 (una figura tutta da riscoprire). Mounier, prefigura il mondo contemporaneo e l’uomo tecnologico, creatore di strumenti rivoluzionari che lo esaltano ma da cui rischia di venire sopraffatto, artefice di un mondo che può dargli libertà oppure congelarlo nell’autodistruzione e nella solitudine. La paura dell’artificiale: progresso, catastrofe, angoscia, è infatti un profetico saggio del 1948 in cui si affronta il problema delle reazioni emotive e psicologiche verso la tecnica creata dall’uomo. Mounier riesce a mantenere un punto di vista equilibrato ed equidistante dai profeti di sventura e dai modernisti esaltati. Riesce a vedere nella tecnica l’occasione di pescare in un contesto nuovo valori e saggezza. Sembra che parli dell’oggi. Le previsioni di Mounier si sono avverate al punto che le nostre paure, le nostre speranze, il nostro essere non hanno più soltanto stretta attinenza al contesto della macchina in senso lato ma della realtà virtuale. L’homo è virtualis. Nella virtualità siamo immersi quotidianamente in forme più o meno intensive; senza consapevolezza rischiamo d’essere sommersi. È significativo che, seguendo la scia luminosa di questo pensare, lo sguardo psicoanalitico colga con uguale equilibrio la stessa potenzialità bifronte nelle tecnologie informatiche e della comunicazione. Alla luce del passaggio dal linguaggio della grammatica a quello della tecnica, metamorfosi epocale che è terreno privilegiato di indagine e di riflessione della filosofia, è necessario quindi, acquisire anche il punto di vista di chi vede le tecnologie da un osservatorio imprescindibile: quello della psiche. Distanza e immersività nelle comunicazioni tecno-mediate è il titolo di un articolo scientifico scritto da Simonetta Putti e pubblicato sulla rivista DIGIlogica – vol. 8, che si occupa della comunicazione nel passaggio dall’analogico al digitale.

Simonetta Putti, oltre a essere analista junghiana, socia del C.I.P.A  (Centro Italiano di Psicologia Analitica) e della I.A.A.P (International Association  for  Analytical Psychology), socio fondatore del C.S.P.L  (Centro Studi Psicologia e Letteratura fondato da Aldo Carotenuto), è socio della S.I.P.tech – Società Italiana di Psicotecnologie e Clinica dei Nuovi Media, responsabile del sito Psychoinside. Con altri terapeuti è stata tra le prime in Italia, fin dal 1999 a occuparsi del nuovo contesto digitale e a utilizzarlo come canale per terapie online. Computer, telefonini, social network: sono strumenti familiari, talmente familiari che li diamo per scontati, dimenticando o ignorando che questa tecnica al nostro servizio, ci cambia impercettibilmente, mentre la usiamo. Specie adesso che siamo approdati ai lidi del web 2.0 ovvero a tutte quelle applicazioni online che permettono uno spiccato livello di interazione tra il sito e l’utente (blog, forum, chat,  Wikipedia, Youtube, Facebook, Myspace, Twitter, Gmail, WordPress, Trip advisor ).

L’articolo  è illuminante perché riporta la soglia della consapevolezza al punto dove è giusto stia, tra stupore, approccio meravigliato, persino ludico e divertito verso le innovazioni di cui oggi possiamo disporre in modi e tempi sempre più rapidi, e uso consapevole e avveduto. “Le nuove tecnologie – il World Wide Web, Internet, la Wirelessness  – stanno svolgendo il ruolo prima ricoperto dall’alfabeto”, è la premessa. La mente sta diventando ‘connettiva’: se l’alfabetizzazione tradizionale offriva gli strumenti per dotarsi di una ‘griglia’ attraverso la quale leggere e decodificare il mondo, ora l’internettizzazione prevede all’istante un’immersione totale nel mondo che si vuole osservare. Si è osservatori e osservati insieme. La premessa è fondamentale perché comporta un salto a livello psicologico, comportamentale, relazionale: cade la separazione e la distanza tra soggetto e oggetto, “nel cyberspazio ci troviamo in un campo attivo d’interazioni, in una dimensione immersiva”. Pensate di quale mutazione siamo a un tempo co-artefici e oggetto in un continuo passaggio di campo tra i due stati. “Internet sta da tempo consentendo a strati sempre più ampi della popolazione mondiale l’accesso ad un sistema di scambi interpersonali riguardanti ogni ambito del vivere, senza limitazioni di spazio e in tempo reale. La posta elettronica, le mailing list, i forum, le chat, i blog, costituiscono le nuove forme del comunicare ormai immesse nella quotidianità”. Queste nuove forme di comunicazioni annullano la distanza, permettono una confluenza multimediale (i telefonini di ultima generazione), all’insegna dell’immersività. Paradossale è il fatto che coesistono immersività e distanza: è la tipicità di queste comunicazioni. A livello sociale, psicologico, psicopatologico, cosa può significare? “Oggi il nostro privato spazio interno è continuamente sfidato e forse già ristrutturato dall’emergenza del cyberspazio, come nuovo ambiente cognitivo e relazionale”, osserva Putti. Certo non è marginale il fatto che, sia che siamo a distanza di pochi metri o di centinaia di migliaia di chilometri, la comunicazione avviene “in assenza dell’altro, quindi in assenza del corpo”. È scorporata, disincarnata, a volte perciò falsata o sublimata a seconda dei casi.

Del nostro interlocutore abbiamo soltanto il testo, le parole scritte, talora le immagini e i contenuti audio. In assenza di elementi che coadiuvino la comunicazione verbale (l’espressione facciale, la gestualità, la prossemica), la comunicazione on line è continuamente minacciata dalla possibilità di cadere nell’equivoco, nel fraintendimento. A volte, l’ambiguità è voluta, è la premessa: l’anonimato può garantire la totale mistificazione della propria identità fino a violazioni palesemente illegali. È singolare come in questo quadro si inserisca l’osservazione psicoanalitica: le nuove forme di comunicazione sono salite sul lettino dell’analista attraverso le narrazioni dei pazienti intrise della novità della relazione umana. Quindi un team di lavoro (Simonetta Putti, Giorgio Antonelli, Paolo Nardone) attraverso la creazione di un sito, fin dal 1999 ha avviato la sperimentazione di un aiuto psicologico on line: “Ci siamo, quindi trovati ad osservare il fenomeno in oggetto – le relazioni interpersonali che si attualizzano in rete – da un osservatorio composito: come psicoterapeuti che ascoltano le relative narrazioni dai propri pazienti; come operatori sul campo che sperimentano la modalità on line”, riferisce nel suo studio Simonetta Putti. In questa duplice veste, gli specialisti hanno verificato quali sono gli ‘attrattori’ della Rete: facilità d’accesso, velocità, potenza, comodità. E al tempo stesso hanno circoscritto subito gli aspetti negativi o rischiosi: assenza di contatto fisico, bassa reciprocità, fraintendimenti, venir meno dell’empatia. Questa forma di comunicazione può rassicurare e consentire un’esibizione di sé persino spavalda perché non c’è il pericolo emotivo del contatto con l’altro e si ha la sensazione di poter avere il controllo sulla comunicazione, il che può amplificare le proiezioni fantasmatiche che si fanno. Appare quindi di grande rilevanza a livello di dinamiche psichiche il fattore controllo: possiamo decidere noi quanto stare connessi, come, con chi, in che tempi rispondere a una mail, se iniziare una conversazione in chat o pubblicare sulla nostra bacheca di facebook un’immagine o un testo. Questa rassicurazione data dal senso di controllo può esaltare fantasie di onnipotenza, come invece incentivare un avvio di dialogo. Le relazioni on line sembrano infatti configurare la possibilità di una “distanza ottimale per quei soggetti che – nella vita reale e nei concreti incontri – stentano a trovare la distanza giusta” nella quale situare e vivere le proprie relazioni. Il fatto che la comunicazione avvenga al riparo del proprio computer può lenire angosce fusionali o persecutorie. In questa altalenante sensazione di vicinanza e lontananza, le relazioni on line possono essere una modalità di avviare o facilitare scambi autentici. Si può avviare un contatto umano attraverso email in cui a poco a poco ci si racconta e raccontandosi si rinsalda la propria identità o si scoprono nuove opportunità di senso. Significativa è anche, nella velocità, la facoltà di graduare a propria scelta i tempi, rallentare o ritornare sulla comunicazione fino a assimilarla: “Attraverso la chat, l’e-mail, i blog le persone hanno la possibilità di scrivere, ottenere risposte, leggere e riflettere su quanto scritto da sé e dall’interlocutore e poi continuare il dialogo”.

“Immersi nel cyberspazio, ci troviamo in un campo attivo di interazioni possibili e questo amplifica grandemente anche le potenzialità della nostra stessa mente”. Giustamente l’analista sottolinea che al crescente uso delle comunicazioni tecno mediate è possibile dare una valutazione polivalente. Il segno e il sintomo di una latente paura della comunicazione diretta e immediata, “ma anche un tentativo di andar oltre quella medesima paura, cercando vie alternative che consentano di gestirla, e progettualmente – forse – di superarla”.  Nel caso del telefono cellulare, invece, si va a configurare come un nuovo organo di senso, “estensione diretta del tatto, della vista, dell’udito”. Dalla tecnofilia alla tecno fobia, la ‘rivoluzione digitale’ è densa di opportunità e di rischi. Specie nel rapporto di dipendenza/vicinanza che riguarda i giovanissimi si configura “un forte legame psicologico con il cellulare, utilizzandolo come un’appendice del loro corpo, sorta di prolungamento o protesi dalla quale non riescono a staccarsi fisicamente e che hanno bisogno di tenere costantemente sotto controllo , ma l’estraniazione dal contesto e la concentrazione massima su tasti e comandi  fa sospettare una particolare erotizzazione dell’oggetto in sé”. Quindi a un tempo il mezzo è via di potenziamento della relazione, ma anche del suo impoverimento perché determina una crescente distanza affettiva, tanto più contrastante con l’urgente sottinteso di mantenere il contatto. Se da una parte il telefonino garantisce reperibilità sempre, dall’altro mette a repentaglio la privacy e insieme può testimoniare uno scollamento nelle relazioni umane. Insomma è anch’esso un catalizzatore di rischi e opportunità.

Se può essere occasione di condivisione emotiva, qui e ora, attraverso l’uso della voce, delle immagini, degli sms e persino allenare alla comunicazione, dall’altra la distanza difensiva può inibire la svolta a un rapporto diretto. Scrive Simonetta Putti: “L’espandersi progressivo delle comunicazioni multimediali è un dato di realtà e come tale non si può che accoglierlo valutandone i benefici ed i costi, le potenzialità ed i rischi, evitando gli estremi  dell’enfatizzazione acritica e della altrettanto acritica demonizzazione”. Le nuove tecnologie possono rappresentare uno ‘strumento potente di continuità’, perché aiutano a mantenere e consolidare relazioni umane specie a distanza. Conta sempre la consapevolezza e l’uso che se ne fa: “possiamo modularci tra superficialità e profondità, curando e conservando lo spazio e il tempo per la via nota della concreta relazione umana, intersoggettiva, fatta di carne e parole. Le possibilità supportate  dai nuovi media possono configurarsi anche come uno spazio di crescita delle nostre capacità comunicative e relazionali”. Contano le scelte individuali, essere in grado di compierle. Sostiene il sociologo Zygmunt Bauman: “La cultura consiste da sempre nella gestione delle scelte umane”.

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