Gianni Rodari, l’ombrello della fantasia, il salvavita dall’alienazione universale

Il nostro mondo pare funzioni sempre più solo e soltanto a scorrimento veloce, pausa rifornimento carburante e via, si riparte. Ci ricordiamo di qualcuno, specie di uomini illustri, se mai ce ne ricordiamo, quando gli anni si aggruppano e fanno cifra tonda, quasi fosse un vezzo matematico della somma  il ricordo, e allora sì scatta la celebrazione da fare: perché gli anniversari risvegliano o innescano la gratitudine per i (ri)trovati padri fondatori, di cultura, umanità, vivere, non quieto né statico, anzi vulcanico.

Padre fondatore della fantasia onnivora e insaziabile nonché di una pedagogia antiretorica forte del supporto di psicoanalisi, linguistica e narratologia, davvero dalla parte dei bambini e della loro crescita psichica e affettiva, è stato Gianni Rodari.

Scrittore, giornalista, educatore, autore televisivo, sperimentatore, artigiano e artista della parola, Rodari è oggi riconosciuto da più di una generazione per i suoi meriti e talenti indiscussi; conosciuto forse per vie traverse, o senza neanche conoscerne di fatto l’esistenza, dai giovanissimi in carica come alunni di vario ordine e grado in scuole dove risonanze rodariane riecheggiano ancora. È dei grandi percorrere anche le vie traverse e riattualizzarsi sempre, fino ad essere più attuali dei vivi. Di Rodari  proprio ora (il 14 aprile per l’esattezza) si celebrano i trent’anni dalla morte e il prossimo 23 ottobre ne saranno passati ben 90 di anni dalla sua nascita; due anniversari da muovere rimembranze e attivare nuove cognizioni. Chi è nella fascia di mezzo nel cammino incerto dell’esistenza, chi è stato bambino negli anni ’70, ha un suo personale Rodari da celebrare nella stanzetta più integra e vitale (o creativa?) della sua mente, che sia attraverso il ricordo di una filastrocca in cielo e in terra, o di una poesia imparata a memoria che fosse un insolito pellerossa nel presepe da recitare a Natale in alternativa a trite rime, o di una favola al telefono o di un’avventura del romanzo di Cipollino, tradotto in più di trenta lingue. A lui, che ci ha insegnato che le strade della fantasia sono infinite e che ha innalzato i bambini al ruolo di primari artefici di qualsivoglia processo creativo, certo non sarebbe piaciuto, avesse avuto oggi 90 anni, vedere l’attenzione famelica verso l’infanzia, non già perché richiamo purissimo a un patria perduta, ma perché considerata appetitosa fascia di consumatori, se non utenti e/o in alternativa, l’infanzia come esilarante-ipocrita, fascia protetta.

La Bibbia dei creativi, la pietra miliare di chi voglia capire come funziona il processo creativo dei bambini e più in generale degli esseri umani tutti, è stata e resta la Grammatica della fantasia, testo pubblicato nel 1973 nella Piccola biblioteca Enaudi e concepito come Introduzione all’arte di inventare storie. Chi se ne intende di fatti editoriali, lo definirebbe un long seller. Curiosa è anche la genesi di questa speciale grammatica. Era l’inverno 1937-38. Un giorno Rodari, che non aveva ancora 18 anni e già faceva il maestro in casa di ebrei tedeschi, sulle colline presso il lago Maggiore, non lontano dalla sua Omegna (Novara) dove era nato nel 1920, fu sedotto da un Frammento di Novalis in cui è scritto: “Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare”. Un’illuminazione intorno alla quale si sviluppa un primo Quaderno di Fantastica di Rodari, poi rielaborato in forma di Manuale per inventare favole e pubblicato in 2 puntate sul quotidiano romano “Paese sera” nel 1962 e su “Il giornale dei genitori” negli anni a venire per suggerire ai lettori il modo di farsi da soli le storie della buonanotte; fino a diventare nel 1972 un ciclo di “Incontri con la Fantastica”, organizzati per maestre di materne, elementari e medie. Finché, proprio da quella esperienza, nacque l’anno successivo la Grammatica, strumento di lavoro e guida per genitori, insegnanti che vogliano formare esseri umani completi, non visconti a metà, per citare Calvino. Ammonisce Rodari: “La presente grammatica della fantasia (…) non è né una teoria dell’immaginazione infantile (ci vorrebbe altro…) né una raccolta di ricette, un Artusi delle storie”. La grammatica è l’abc delle fiabe. Ma attenti: “Le fiabe servono alla matematica come la matematica serve alle fiabe. Servono alla poesia, servono alla musica, all’utopia, all’impegno politico: insomma all’uomo intero e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come la poesia e la musica, come il teatro o lo sport (se non diventano un affare). Servono all’uomo completo”. Quindi la conclusione: “Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà – vuol dire che è fatta male e bisogna cambiarla. Per cambiarla, occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione”. La fantasia al potere? Ebbene sì. “Tutti gli usi della parola a tutti. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”. Viceversa oggi un’immaginazione piuttosto convenzionale è consentita, somministrata a piccole dosi entro e non oltre la scuola d’infanzia; dilaga la produzione seriale anche nell’editoria dedicata ai più piccoli; sciami di schiavi giammai liberati della schiavitù innanzitutto di loro stessi, si professano liberi ed artisti perché inclusi nel chiacchiericcio televisivo.

Leggere o rileggere la Grammatica ci permetterebbe di imparare le principali tecniche d’invenzione che spesso i bambini mettono in atto spontaneamente: il binomio fantastico, il gioco delle ipotesi e le infinità di combinazioni a cascata che ne sgorgano, la deformazione volontaria delle parole o quella involontaria, ovvero la “bontà” dell’errore creativo (da questo punto di vista i bambini sono una miniera), insomma sbagliando s’inventa e poi tutte quelle abilità care ai bambini che usano le parole come giocattoli (come poi fecero e fanno surrealisti, avanguardisti, umoristi, frequentatori del non sense), le fiabe sbagliate, le fiabe a rovescio o l’insalata di favole.

Si ma che ce ne facciamo in questo mondo di Rodari? A che serve? A chi serve? Nelle sue favole in chiave psicoanaltitica c’è la riscoperta di una dimensione affettivo-morale propria dell’infanzia e di ogni processo di crescita equilibrata. E come difensore supremo del gioco e degli aspetti ludici dell’esistenza, Rodari può essere il salvavita in un mondo sempre più alienante, “meccanico” secondo l’accezione gramsciana; un mondo caratterizzato da rapporti umani ispirati dall’utile, dalla convenienza, dal successo personale. L’alternativa? Far deragliare le parole, fare esplodere i significati e sragionare un po’ ogni giorno. Rodari docet.


Filastrocca corta e matta

Filastrocca corta e matta,
il porto vuole sposare la porta,
la viola studia il violino,
il mulo dice: – Mio figlio è il mulino -;
la mela dice: – Mio nonno è il melone -;
il matto vuole essere un mattone,
e il più matto della terra
sapete che vuole? Fare la guerra!

Titolo: La grammatica della fantasia
Autore: Gianni Rodari
Editore: Einaudi ragazzi (collana La biblioteca di Gianni Rodari)
Dati: 2010, 208 pp.

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