A Gang Of Five – Intervista agli A Classic Education

Il disco degli A Classic Education, Call It Blazing (Lefse/La Tempesta International/Tannen Records 2011), è uno di quelli che maggiormente mi ha colpito ultimamente, uno di quelli che, instancabilmente, continua a girare su player e lettori di vario formato. Questo, già di per sé, bastava perché ne scrivessi. Poi però non volevo fare la solita cosa e cioè una lunga e noiosa disamina del disco, così come sono abituato a fare. Mi sono detto, cazzo, ce li ho sotto casa, intervistiamoli! Ho scritto a Jonathan Clancy, cantante e chitarrista della band, e ci siamo messi d’accordo per una chiacchierata in chat. Solo che poi è arrivato il tour con gli Okkervil River, così, all’improvviso e bisognava  preparare, organizzarsi e allora abbiamo deciso di rimandare.

Avevo però un ultimo asso nella manica da giocarmi: il concerto degli Okkervil River al Café de la Danse, a Parigi. Opening Act: A Classic Education. “Perché no?”, mi sono detto. “Perché no?”, ha risposto Jon. E così sono finito a intervistare un gruppo italiano a Parigi, altro che sotto casa. E quello che è venuto fuori è stata una lunga chiacchierata a tutto tondo sulla musica, il disco, i live, la poetica e l’estetica, insomma tutto. E direi che ci siamo divertiti un bel po’.

Un’avvertenza prima di leggere: ho tentato, per quanto possibile, di lasciare il discorso colloquiale, l’intervista è stata un faccia a faccia (vis à vis dai, eravamo in Francia!) quindi non mediata da alcun tipo di mezzo, spero risulti tutto comprensibile.

A rispondere alle mie severe domande Jonathan Clancy, voce e chitarra, e Luca Mazzieri, chitarra.

Iniziamo con una domanda diretta: voi siete nati quando, quando è nato il gruppo?

J: Boh, nel 2007 più o meno.

2007 dunque, il nome è A Classic Education. Il ragazzino è andato a scuola, si è svezzato ed è entrato nella gang.

J: Più o meno sì, mi piace, è un buon modo di vederla.
L: Sì, forte.

Quindi l’evoluzione c’è stata anche da un punto di vista sonoro. Io mi ricordo quando vi ho visto la prima volta in assoluto; è stato quando avete aperto agli Arcade Fire a Ferrara. Là mi sembravate adatti a quel tipo di musica. Adesso invece mi sembrate andati oltre quel tipo di sonorità. Come si è evoluto il vostro suono?

J: Ecco, col tempo, è venuto fuori anche parlandone con Luca, nel senso che in realtà abbiamo fatto passare un sacco di tempo. Le band ormai sono abituate a fare il singolo velocemente, se ne parla su internet, esce il video su Vimeo, due-tre robe, tac e fai il disco. Noi abbiamo quasi fatto il giro opposto, nel senso, abbiamo fatto uscire tanti ep, secondo me anche per imparare a conoscerci. Hey There Strangers (d’ora in poi HTS) in particolare, cioè l’ep di mezzo, quello dopo First Ep, secondo me è stato il momento a livello anche personale di scrittura in cui ci siamo detti: “Cazzo adesso abbiamo qualcosa di nostro”. All’inizio siamo partiti dicendo facciamo qualcosa di diverso rispetto alle band che avevamo: vogliamo cercare di far uscire la melodia, abbiamo tutti questi strumenti nuovi, abbiamo l’organo, abbiamo gli archi, mettiamoci tutto e cerchiamo di spingere con tutti ‘sti giocattoli nuovi, e il risultato è stato il First Ep. Piano piano secondo me ci siamo conosciuti meglio, abbiamo iniziato a sottrarre, anche se non è stata una cosa voluta, cioè la riprocesso adesso, adesso riesco a dirtela, non ce ne siamo neanche accorti. Siamo arrivati a HTS con quel tipo di suono.

Cioè non è stato un progetto ben preciso, è stato un work in progress anche se è brutto utilizzare queste espressioni quando riguardano i processi artistici.

L: Sì esatto, quando ci siam trovati è stata questa voglia di scrivere canzoni a unirci, venivamo da progetti dove si suonavano pezzi fondamentalmente. Abbiamo avuto voglia di scrivere canzoni, e all’inizio magari c’è questa bulimia totale per cui senti il bisogno di usare quello che non hai mai usato, quello che appartiene al bagaglio culturale che hai, perché tutti comunque siamo dei grossi fruitori di musica, una cosa che secondo me ci ha accumunato tanto è stata la passione incredibile per la musica in generale. Poi pian pianino questa voglia di scrivere canzoni e il conoscerci ha fatto sì che venisse fuori una voce nostra e che le influenze si diluissero in un suono comune perché sai, tu porti la tua esperienza, lui porta la sua, all’inizio è forte, all’inizio magari si sente poi pian pianino si diluisce in quello che stai diventando.

E quindi è stato il tempo il maggiore collante.


J: Sì, per noi il tempo è stato un amico. Sembra una banalità ma fare le cose con calma ci ha aiutato tantissimo a focalizzare la scrittura, il tipo di scrittura, e anche poi tra l’altro citavi il concerto di Ferrara con gli Arcade Fire dove secondo me sì, per il tipo di gruppo che eravamo, che siamo, cioè con degli archi ecc. ecc. l’accostamento può venire abbastanza naturale ma penso che la nostra scrittura sia molto più, come posso dire, intima; ma non intendo che la loro non sia intima però la nostra appunto è più da persona a persona, faccia a faccia. Loro hanno quella incredibile qualità di essere una band oceanica, noi invece anche nei testi e nelle canzoni, non abbiamo quel tipo di approccio, non siamo portati verso quel tipo di comunicazione. A me piace una versione più intima…

L: Confidenziale.

J: Sì one on one, ecco, ci piace di più come registro.

 

https://player.soundcloud.com/player.swf?url=http%3A%2F%2Fapi.soundcloud.com%2Ftracks%2F23433568 A Classic Education – Forever Boy by A Classic Education

Leggendo un po’ di recensioni in giro sul vostro disco Call It Blazing si dice spesso che gli ACE sono una band italiana ma non suonano come una band italiana. Come vi spiegate questa etichetta da parte della stampa?

J: Ma secondo me è veramente un po’ un pregiudizio, nel senso: che cosa è essere una band italiana? Noi siamo una band che ha le proprie influenze, è cresciuta ascoltando e facendo un certo tipo di musica. Luca è cresciuto ascoltando gli Smiths, io un altro gruppo… E non sono cresciuto ascoltando i Litfiba, non c’è niente di male. Semplicemente tu riprocessi questo, noi siamo una band tra l’altro che è stata anche definita esterofila perché andavamo a suonare spesso all’estero. In realtà per noi non è che c’è un meglio o un peggio, semplicemente la nostra idea è non avere confini. Se la mia band preferita suona su un palco a Monaco o a New York o a Lubjana io voglio essere lì e confrontarmi con quello anche. E voglio suonare pure a Casalecchio, voglio suonare pure a Modena o a Voghera ma devo potermi confrontare con tutto, non capisco perché… Cioè, non ci sono confini.

Ma infatti vedendo la vostra carriera live si può dire che siete stati gruppo spalla di tante band e molte di queste scelte da voi. Faccio un esempio: i Real Estate a Milano, unica data italiana, voi avete preso gli strumenti e siete andati là. Ora gli Okkervill River, prima gli Arcade Fire, poi in tour con i British Sea Power. Quindi voi li andate a cercare questi confronti.

L: Sì ma è ance un misto, a volte accade anche il contrario, in questa occasione siamo stati cercati come anche con i British Sea Power.

J: Noi siamo un band anche un po’ naif, molti vedono dietro al fatto che abbiamo suonato con diversi gruppi una sorta di progettazione che in realtà non c’è. Per esempio i Real Estate sono una delle nostre band preferite degli ultimi anni, allora abbiamo scritto a La Casa 139 e gli abbiamo detto “Cazzo veniamo a suonare a gratis”, ci piacciono e così è stato. Poi abbiamo risuonato con loro altre volte e si è creato un collegamento tanto che quando sono tornati a Forlì, in realtà non ricordo se sia stato prima Forlì o Milano, hanno chiesto loro: dai, venite a suonare. Poi abbiamo registrato il disco ai Rear House dove anche loro hanno registrato. Alla fine quello che conta è il rapporto umano, è il rapporto umano che cementifica e fa andare avanti tutte queste cose e spero ovviamente anche la bravura.

[vimeo http://www.vimeo.com/26981060 w=400&h=225]
A Classic Education – Call It Blazing 100% from A Classic Education on Vimeo.

CONTINUA…