Joël Stein e l’Arte Cinetica

Oggi mi sforzo sempre di non ridurre la mia opera ad una formula comoda; in ogni tela cerco di preservare una via d’uscita, una specie di botola che permetterà di evadere. Dietro la sua immobilità apparente si nasconde un movimento, è il contrario di una trappola, un’uscita verso qualcos’altro. (Joël Stein)

Si inaugura oggi al MACA (Museo Arte Contemporanea Acri), nel contesto principesco del Palazzo Sanseverino, una mostra eccezionale per valore, scelta delle opere e per l’accurata varietà delle stesse: Joël Stein e l’Arte Cinetica (Personale retrospettiva dal 1960 ad oggi).

L’artista cardine del museo, Silvio Vigliaturo, ci accompagna. Passeggiamo per le sale ricche dai soffitti con capriate e dalle pareti affrescate e ci sorprende e stupisce, come in un ingenuo nascondino, un’esposizione con la quale non possiamo fare a meno di interagire. È un meccanismo che s’attiva senza preavviso e che ci guida tra le tele con un atteggiamento che non è quello critico del visitatore quanto piuttosto di giocosa interazione. La prima tela (Asseau polychrome dans un cercle) ci rapisce, ce ne sono decine a seguire, ma i colori di questa sono come la tela di un ragno: non le si sfugge; ci spostiamo a destra, poi a sinistra: l’effetto è come quello ottenuto con un caleidoscopio solo che è stato creato partendo da assunti assolutamente opposti a quest’ultimo, assolutamente non casuali. L’uno infatti s’affida alla casualità e agli effetti che la luce attua sui pezzetti di vetro in movimento, l’altra (e con essa anche le altre tele) alla sistematica organizzazione, contrapposizione e giustapposizione dei colori e delle forme, che non si creano e intersecano per effetto meccanico della luce ma piuttosto l’assorbono e restituiscono moltiplicata, amplificando lo spazio interno ed esterno all’opera. Frattali, labirinti, giardini geometrici splendidi da cui fuggire, in cui perdersi.

Questo accade col colore ed è magnifico. Diventa straordinario quando la medesima sensazione ci avvolge dinanzi alle opere in bianco e nero; in Opposition en noir, per esempio, in cui un’armonia geometrica strutturata e composta abbraccia e intrappola consapevolmente il tempo. Il nostro tempo.

Dal colore, al bianco e nero, al grigio predominante in un’opera che sembra didattica, che, con una palette di colori alla base, suggerisce come dal bianco al bordeaux alcuni colori nascano e si incontrino per generarne altri da sé. Si incontrano e degradano o intensificano riempiendosi di loro stessi, restituendo, nel corpo pieno della tela, un esercizio che è il risultato di un gioco, una boutade: cerchi di tre colori primari si incrociano e, a seconda dell’area di fondo di colore su cui s’adagiano (spazi di bianco, sezioni di grigi) ne creano altri. Tutto sull’onda di un movimento che è certo virtuale ma altrettanto di sicuro originale per opere che per loro natura sono “immobili” e che permette un senso non univoco di comunicazione che si spinge oltre fino a divenire un ponte, un assetto dialogico tra lo spettatore e l’opera (e quindi con l’artista). Dialogo che, seppur contingente all’interlocutore e al tempo, resta tale e non comune.

Dislocate nel palazzo, nel cortile, o in sale dedicate sono le macchine scultore; interessante corredo a un’arte che non è solo pittorica.

Una mostra che è un’esperienza assolutamente raccomandabile, e sulla quale non si può dire più di tanto, che di certo non si può spiegare, giacché si tratta, come suggerisce Stein stesso, di “moltiplicare le esperienze”, affinché essa possa essere per ciascuno un’esperienza diversa, molteplice appunto, e si attualizzi attraverso il nostro sguardo, attraverso noi.

Assorbito dal fervore culturale e artistico dell’ambiente parigino, Joël Stein  porta avanti una ricerca personale che lo vede partecipare, nel 1960, alla fondazione del “Groupe Motus”, a cui succederà il “Centre de Recherche d’Art Visuel”, che diventerà poi il “Groupe de Recherche d’Art Visual” (GRAV), del quale sarà uno dei più incisivi teorici.

“1958-59 da una parte c’era un’irruzione di arte astratta espressionista, astrazione lirica, e dall’altra questa eloquenza delirante sull’artista e sulla sua personalità con tutti questi discorsi metafisici. Si è deciso di prendere in contropiede tutto ciò predicando il rigore, il non-lirismo e un certo anonimato. Si è dunque formato un primo gruppo, Motus. Questo era sbagliato, ed è durato molto poco. Nell’entusiasmo si è creato il Centre de Recherches d’Art Visuel. Si è presto capito che il nome era pretenzioso, che noi non eravamo il centro di niente e che era meglio dire Groupe de Recherches d’Art Visuel. Il GRAV era nato, composta da allora da sei membri perchè alcuni altri non ci avevano seguito.” (Estratto da un’intervista  a Joël Stein di Henri-François Debailleux).

La mostra resterà aperta fino al 26 settembre e l’accesso è gratuito (come libero è anche l’ingresso al MACA).

Mostra: JOËL STEIN. Personale retrospettiva dal 1960 ad oggi
Curatore: Bernard Lègè e Valmore Zordan
Luogo: MACA – Museo Arte Contemporanea Acri
Palazzo Sanseverino – Piazza Falcone, 1 87041 Acri (Cs)
Periodo: dal 3 luglio al 26 settembre 2010
Orario Mostra: dalle 09.00 alle 13.00 e dalle 16.30 alle 20.30; chiuso il lunedì
info: Tel. Museo: 0984953309; tel. Ufficio stampa: 0119422568, maca@museovigliaturo.it
sito web: www.museovigliaturo.it