Meditazione: lo psicofarmaco di ‘ultima generazione’ ha 7 mila anni

“Esiste un albero che è eterno e ha le radici che si dirigono verso l’alto e i rami verso il basso; le sue foglie sono gli inni vedici. Chi conosce quest’albero conosce i Veda”, ovvero ha accesso alla conoscenza. Così è scritto nella Bhagavad Gita, poema sanscrito, uno dei grandi testi sacri dell’umanità risalente circa al III secolo a.C., recitato ancora oggi quotidianamente da milioni di indù. Il mondo così come l’essere umano sono concepiti come alberi rovesciati: le foglie puntano verso la terra ma le radici sono in cielo a indicare che l’uomo è fondamentalmente un essere spirituale. La dimenticanza di questa ‘semplice’ evidenza ha comportato e comporta al genere umano parecchie disgrazie interiori ed esterne. Tanto più amplificate in un mondo, come il nostro, le cui radici sono non già in cielo ma nella logica cartesiana, affondano nel dualismo manicheo,  tra approdi, più spesso derive, materialistici. Dimenticare chi si è davvero si traduce in disagio esistenziale più o meno cronico. Insoddisfazione, angoscia e un’infinità di varianti in forma di malattie psicosomatiche, depressioni, sofferenze dell’anima, odi, rancori, ostilità dilagano: il buio della civiltà è il buio dell’anima.

La profezia, non dei Maya, è che nei tempi a venire ci sarà molto lavoro per i nostri guaritori di anime, gli psicoterapeuti. Alcuni dei quali, però, non si gongolano alla notizia, ma cercano casomai una ‘cura’ che integri saperi antichissimi e conquiste recenti, superando steccati culturali che diventano stecche di un Occidente allo sbando. È stata condotta proprio in questa direzione la tavola rotonda dal titolo L’Oriente incontra l’Occidente organizzata nell’ambito del convegno dell’Aiamc (l’Associazione italiana di analisi e modificazione del comportamento e terapia comportamentale e cognitiva) che si è svolto a Pescara a fine ottobre. La terza generazione degli psicoterapeuti cognitivo-comportamentali è sensibile ai segnali di un’epoca davvero prodigiosa, malgrado le apparenze ostili e contrarie. Assistiamo finalmente al ricomporsi di antiche e deleterie scissioni: tra corpo e mente, psiche e cervello; anima e soma;  materia e spirito; Occidente e Oriente. La psicoterapia guarda a Oriente in cerca di aperture di senso che non mortifichino l’essere umano limitandolo al recinto dell’esperienza sensoriale e diventa così mindfulness, pratica di consapevolezza che coinvolge il terapeuta non meno del paziente. “Coltiviamo la spiritualità in senso laico – ha spiegato lo psicoterapeuta Carlo Di Berardino  – La scienza oggi è interessata a comprendere fenomeni un tempo solo appannaggio della metafisica e della filosofia, l’ambito della coscienza, le potenzialità della mente umana ancora sconosciute”. Dalla meditazione alla mindfulness, Di Berardino ha ‘scovato’ nella storia umana tre grandi filoni di ricerca delle cause della sofferenza e delle vie per alleviarla: induismo, buddismo, ipnosi.

Vie da riscoprire e frequentare anche dai terapeuti che si chiedono: “Cosa possiamo fare per aiutare le persone ad affrontare degnamente la sofferenza? Cosa possiamo fare per aumentare la consapevolezza”? Intanto, tenere a mente sempre che l’uomo è unità biopsicosociale complessa “e questa unità non può essere ridotta a un’unica componente. È necessario un approccio multidimensionale e multidisciplinare”.  Amadio Bianchi, maestro di Yoga e Ayurveda da 47 anni, e presidente del World Movement For Yoga and Ayurveda e della European Yoga Federation, ha portato la sua testimonianza: “Lo yoga ha oltre 7 mila anni di sperimentazione. Siamo un enorme popolo di pace. La nostra ricerca è volta all’arte di vivere. Siamo figli di un credo e non l’abbiamo mai mollato da 7 mila anni. Queste discipline sono riuscite a dare una risposta a cosa è la vita, la vita universale. C’è una parte fisica e una non fisica. La morte è la separazione di queste due parti”. Noi occidentali, ‘omocentrici’ e riduzionisti a oltranza, consideriamo la mente in senso materiale, quale esperienza dei sensi. Invece, è  strumento prezioso per indagare, attraverso la meditazione, la parte non fisica della vita. “Gli antichi indù già sapevano  tutto ciò – ha spiegato Bianchi –  o l’uomo recupera questa consapevolezza d’essere costituito da una parte fisica e da una non fisica, oppure continuerò a vedere tanti morti che camminano perché la morte è divisione. Auguro a ognuno tanta meditazione per conoscere la propria parte non fisica. Da 6 o 7 disturbi su 10, oggi non sono di origine fisica. È ora di farsi la domanda sul perché. Perché l’uomo ha perso il contatto con l’altra parte e non la sa gestire”. L’ayurveda, l’antica medicina indiana richiamata da Bianchi insegna che le principali cause della malattia sono tre: la prima è l’ ‘errore dell’intelletto’; la seconda l’errore dei sensi;  terza e ultima il cambio di stagioni. La causa della malattia è interiore. La meditazione non ‘di suggestione’ (quella in cui un maestro può guidare, suggerire e quindi suggestionare l’allievo), bensì ‘di conoscenza’,  è “risolutiva perché ci pone in contatto con la nostra natura non fisica”. È la via per la ‘disidentificazione’, centrale anche nella mindfulness: “io non sono il corpo, io sono anche il corpo”.

Vincenzo Tallarico, psicoanalista junghiano, presidente dell’Associazione per lo sviluppo della consapevolezza Mindfulness Project e terapista del gioco della sabbia, nonché insegnante di meditazione secondo la tradizione buddista dopo aver avuto l’iniziazione in Tibet, ha specificato che “l’antico non vuol dire obsoleto”. Casomai riscoprire antichi saperi è arte di ricongiungersi alle verità universali della philosophia perennis, patrimonio di tutti i popoli. Di fondo, l’idea dell’umanità come albero con le radici in cielo è archetipo universale. Ad esempio Carl Gustave Jung scrive: “L’idea che l’uomo sia simile a un albero rovesciato sembra che sia attuale in ogni epoca passata. Il legame con le concezioni vediche è fornito da Platone nel suo Timaeus, in cui si afferma … “Ecco noi non siamo una pianta terrena ma una pianta celeste.” Dagli archetipi che attraversano cosmogonie a ogni latitudine alle antichissime psicologie che insegnano la consapevolezza, abbiamo  a disposizione un patrimonio di saperi che può ‘curarci’. “La meditazione è un’esperienza che accomuna tutti i ricercatori che in quanto tali non aderiscono a un credo. La parola meditazione in tutti i paesi d’origine semplicemente non esiste. Esiste la parola corrispondente a familiarizzare con le emozioni. Si tratta di individuare quali sono le emozioni dannose e quelle dal coltivare nel proprio orto. Il buddismo è uno studio raffinato di come funziona la mente. Il Dalai Lama l’ha definito ‘scienza della mente’, infatti raffina la mente e la consapevolezza”, ha spiegato Tallarico.

Milioni di persone si affidavano alla pratica della meditazione prima che sorgesse un paradigmo scientifico, semplicemente sentendo il beneficio  ricontattando parti immateriali del Sé. L’ultima arrivata, la mindfulness, allora “può essere usata come pratica di consapevolezza, ma dietro c’è tutta una vicenda esperienziale, culturale e conferme neuro scientifiche”. Se la ‘consapevolezza’ sbarca in Occidente ben venga perché non è proprietà esclusiva né monopolio di alcuno: “Il Buddha l’ha insegnata 3500 anni fa a tutti quanti desiderassero praticarla. La Mindfulness non ha nessuna controindicazione. Il paradigma verticale per tutte le scuole di psicoterapia è la relazione d’aiuto. Ecco, all’interno della relazione d’aiuto possiamo inserire un ascolto meditativo che fa la differenza da un ascolto che non lo è. La psicologia che ha sempre lavorato sulla consapevolezza, oggi è entrata in una nuova dimensione, più spirituale”.

Maria Grazia Lopardi, avvocatessa dello Stato sui generis, perché esperta di simbolismo ermetico ha evidenziato che “spiritualità è rivolgersi dentro se stessi, guardare il mondo interiore sorgente di ogni cosa. La spiritualità è esperienza. Dio accade. Non è una fuga dal mondo, ma una via di consapevolezza. Non è un modo di sottrarsi alla vita, ma di essere al centro del ciclone come testimone, una via di conoscenza di sé”. E ha ricordato la figura di Celestino V, da lei lungamente studiato, “uno yoghi d’Occidente, poi salito al soglio pontificio” che scelse di fare l’eremita “per armonizzarsi con il cuore della terra” e rimase 21 giorni sepolto per sperimentare quel che avviene durante la ‘morte iniziatica’. “La morte si accomuna alla meditazione. Il saggio, il meditante, l’iniziato si preparano in vita a quel passaggio che significa abbandonare tutto ciò che è inautentico, le maschere che ci siamo messi, le cose materiali, per fare il vuoto. “La meditazione è uno stato naturale dell’essere. Ci fa ritrovare quelle qualità che avevamo quando siamo nati – ha concluso lo psicoterapeuta Fabrizio Didonna – per riportarle nell’esperienza quotidiana e ai pazienti. Finalmente questo tema è entrato in un congresso di terapia cognitivo-comportamentale”. Mediatare è diventare nietzschianamente ciò che si è, oltre le contigenze, in una dimensione spazio-temporale altra.  Sta scritto nel Vangelo gnostico di Tommaso: “Se porterete alla luce quello che è dentro di voi, quello che porterete alla luce vi salverà. Se non porterete alla luce ciò che è dentro di voi, quello che non porterete alla luce vi distruggerà”.