Tra drammaterapia e dramma senza terapia c’è di mezzo l’oceano!

Per un attimo si grida al miracolo. Ma è solo un attimo. Non ci sono Madonne che piangono né grumi ematici in liquefazione; il magnetismo terrestre non ha variazioni brusche, le rughe non si appianano con la sola forza del pensiero. Invece si materializza nella sala Odeion, edificio di Lettere, università La Sapienza, tra statue in gesso che ricopiano bellimbusti di classica compostezza, un mito dei tempi moderni, Robert Landy.
Chi è costui? Come, chi è costui? Quest’uomo non è solo un esemplare dell’America che ci piace e ci fa sobbalzare per un’incomparabile militanza civile, un orgoglio nazionale e una forza persuasiva contagiosa, ma è il padre indiscusso della drammaterapia, disciplina da lui stesso forgiata oltreoceano in trent’anni di lavoro, ma che da noi è appena agli albori per merito di un manipolo di pionieri che assomigliano ad abitanti di città d’utopia. Il professor Landy indossa una faccia da eterno ragazzo che però la sa lunga su moventi dell’animo umano e altre nefandezze; cita Bertolt Brecht e Carl Jung senza pose né forzature; indossa pure una professionalità fluida e comunicativa incorniciata in un abbigliamento tanto informale da essere naturalmente chic e, unico vezzo, un brillantino apposto a un orecchio.

Aristotle, dettaglio de "La scuola d'Atene" di Raffalello, 1510 – 1511

È la sua prima volta in Italia, lui che nel suo straordinario paese se l’è vista con storie impegnative e personaggi a tinte forti: carcerati,  emarginati degli innumerevoli ghetti metropolitani, psicotici gravi a cui ha cercato egalitariamente di dare, attraverso quel serissimo gioco di simboli che è il teatro, uno stato di “serendipità”. Il segreto della drammaterapia, dice lui, complice la traduzione simultanea, è semplice, ma proprio semplice: dare benessere mentale ed emozionale alle persone coinvolte nell’esperienza ben sapendo che nella vita come nel teatro, protetto dalla distanza estetica e dal patto tra i partecipanti, vale il principio del tao: lo yin e lo yang si compongono, si fondono, si oppongono, si scompongono e si ricompongono all’infinito, nell’eterno fluire; l’equilibrio è uno stato che si perde e si può ritrovare nello squilibrio riconciliato, tutto sta a non perdere di vista l’integrazione degli opposti.
E il teatro, fatto, visto, vissuto, agito, scortica l’antico trauma, pialla l’anima e perciò cura, purifica. Torna insomma la stranota catarsi aristotelica, sia pure in insalata mista, necessariamente post-moderna ma non posticcia. La psicoanalisi e altre deflagrazioni culturali ci inchiodano al nostro destino di scissi cronici, anime in pena sempre in cerca di riposo, integrazione. Landy è stato invitato lunedì dal dipartimento di Arti e scienze dello spettacolo della Sapienza che ha organizzato una conferenza aperta. L’incontro si è svolto nell’ambito del progetto Teatri in corso. Formazione-lavoro nel campo del teatro sociale, finanziato dalla Provincia di Roma con i fondi dell’FSU – Fondo Sociale Europeo.

Thalia, di Jean-Marc Nattier (1739)

Tanto per chiarirlo, Landy insegna Drammaterapia e Teatro Educativo alla New York University. È  tra i pionieri della teorizzazione e diffusione della drammaterapia in campo internazionale. Direttore della rivista internazionale “The Arts in Psychotherapy” e autore di numerosi testi fondamentali: in italiano, oltre a numerosi saggi pubblicati in riviste di settore, è apparso Drammaterapia: concetti, teoria e pratica (EUR, Edizioni universitarie romane, Roma, 1999). Padroni di casa Silvia Ortolani, docente del dipartimento di Arti e scienze dello spettacolo, e Michele Cavallo, direttore didattico del master in Teatro nel sociale e dramma terapia; i pionieri italiani ancora in cerca di identità: come formare un dramma terapeuta? That’s the question! L’Italia è la patria del teatro sociale, con la commedia dell’arte ha dato inizio al teatro professionale. Ma ora l’orizzonte si allarga. Occorre, dicono i padroni di casa, una doppia formazione anche da noi: attorica e psicologica.

Invece Landy sfoggia con disinvoltura e carisma il proverbiale pragmatismo americano.

Melpomene, Moreau, Gustave, Hésiode et la Muse, 1891

Poca teoria e molta fattualità: per dimostrare come funziona la drammaterapia coinvolge l’uditorio in un esperimento. Ognuno inventa una storia che abbia protagonista, antagonista, ostacoli e guide e la racconta al vicino. Una volontaria a scelta racconta la sua storia, ingaggia nel pubblico i protagonisti  per i ruoli della sua “pièce”, l’immaginazione (junghianamente parlando) si attiva, l’invenzione si fa realtà, il teatro accade in un istante e le combinazioni sono molteplici, così come i risvolti psicologici. La cura ci rincuora. Miracolo e magia.

E se si facesse drammaterapia ovunque, a cominciare dai luoghi istituzionali di questo paese diroccato, abusato? Intanto, quasi a scusarsi, il professore snocciola qualche elemento di teoria, come fosse uno scandalo astrarsi. Niente paura, si torna subito alla prassi. Landy ci mostra un video: documenta il suo intervento da dramma-terapeuta in una scuola elementare di New York all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle. Dalla finestra della scuola i bambini videro la strage attimo per attimo. Per metabolizzare il trauma, lo hanno rappresentato. Un’umanità giovane che fa affiorare le paure invece di tenerle a marcire nel sottoscala e si rende consapevole della propria finitezza dà qualche speranza per l’avvenire. Landy ci racconta che la drammaterapia negli Stati Uniti è diffusa. Là dove ci sono traumi, individuali e collettivi, si pratica, senza vergognarsi di cercare una cura e perciò trovandola. Da noi invece il dramma dilaga nella vita pubblica, in quella istituzionale, nelle derive private, ma la terapia non c’è, non risponde. E non è questione di budget.

Workshop intensivo 16-17 aprile posti limitati, informati qui