Storie di psico-oncologia: alla ricerca del senso perduto e della forma completa

Fin dal titolo il volume dichiara il proprio intento senza cercare scappatoie edulcorate: raccontare la malattia e il suo significato, il cancro, la relazione tra medico e paziente. Come si indovina dalle prime battute, non è questa una lettura light da fare sotto l’ombrellone o dentro un canalone di montagna, come da copione estivo. Questo libro è impegnativo ma non drammatico, affatto, anzi è una terapia antidistrazione nonché una terapia preventiva, “acchiappa pensieri” e al contempo “acchiappa fantasmi”: i pensieri non pensati, quelli rimossi, quelli negati, i desideri dell’infanzia ricacciati indietro nel congelatore che si chiama inconscio dove tutto resta fermo, eppure sempre vivo. Concedetevi perciò la possibilità di superare pregiudizi e ritrosie e fare ciò che non facciamo manovrati dalla “scienza” della distrazione: pensare seriamente e a fondo alle faccende fondamentali dell’esistenza nostra e di chi ci circonda, svelarvi a voi stessi secondo il principio della responsabilità personale, gravemente démodé e in disuso.

Intraprendere il viaggio attraverso queste pagine non è una passeggiata, richiede il coraggio dell’esplorazione onesta di sé, come coraggio ha avuto l’autore, Francesco Milani, medico e psicoterapeuta che lavora con i pazienti oncologici, a concepirlo e realizzarlo, e la giovanissima ma tutt’altro che acerba casa editrice Aguaplano a pubblicarlo, oltretutto in veste grafica accuratissima. Non è una passeggiata per funghi, si diceva, ma può rivelarsi una passeggiata di salute se lo si legge con l’intento di presentarsi un po’ al sé abituale acconciato in divisa d’ordinanza, andare oltre le apparenze, superare i limiti e le tare del pensiero cui questa fuga tecnologica ci costringe. La nostra vita sembra regolata da un codice binario: funziono o non funziono come macchina, e se non funziono entrano in azione gli aggiustatori (leggi i medici, come li chiamava Tiziano Terzani).

Milani, forte della sua esperienza sul campo, per usare una brutta espressione, è convinto che, come il sogno per Freud, anche il sintomo e la malattia esprimano in forme camuffate, incomprensibili, distorte, i nostri veri desideri inconsci. Se però non c’è un dialogo tra medicina e psicoanalisi, se fautore di questo dialogo non si fa il medico, la malattia è e rimarrà un disturbo organico, secondo una visione riduttivista, di una scienza, la medicina, che sta sulla difensiva e perciò disumanizza l’uomo. Occorre responsabilità e la responsabilità fa paura come l’amore e la felicità: “Parlare di sessualità a proposito dei sintomi isterici, costituì uno scandalo alla fine dell’Ottocento: pensare che siamo responsabili di ciò che ci accade, oggi rappresenta uno scandalo forse ancora maggiore. La moda corrente vuole che ci consideriamo come dei meccanismi: se qualcosa non ci va bene, dipende da qualcun altro, oppure da qualcuno degli ingranaggi, oppure, ancora, da qualcosa di indeterminato come i geni, l’età, l’alimentazione, l’organizzazione del lavoro, il destino, Dio o non so che altro – comunque non dipende da noi”. (pag. 10).

Eppure siamo responsabili di tutto, anche del nostro ammalarci, sostiene Milani. Invece viviamo oscillando tra assenza di responsabilità e senso di colpa. La terza via indicata dall’autore è  ispirarsi alla cultura filosofica greca che considerava il dolore parte integrante del vivere. “La consapevolezza di questo, con la conseguente possibilità di integrare il dolore, il sintomo e la malattia nella nostra esperienza di vita, diventa così un’assunzione di responsabilità”. Il viaggio è complesso ma ricco e diventa racconto che si compone di racconti, citazioni letterarie e riferimenti filosofici: chi cerca il senso, il significato, necessariamente va a bussare alle porte di filosofi e scrittori, profeti non di sventura ma di verità universali. “Il sintomo come un sogno, realizza un desiderio inconscio  attuale che richiama un desiderio infantile” (pag. 57), è la tesi fondamentale dello studio. Confermata e rafforzata dal supporto degli scrittori: Virginia Woolf che racconta la volontà personale di ammalarsi (Sulla malattia, 1930) e a sua volta cita un altro scrittore, Franz Kafka che in un frammento dei Diari scrive: “E se uno soffocasse per propria iniziativa? Se, a furia di insistere nell’osservare sé stessi, l’apertura dalla quale ci si riversa nel mondo diventasse troppo piccola o si chiudesse del tutto? In certi momenti non ne sono molto lontano. Un fiume che scorre a ritroso”. (pag. 57). Secondo la lezione di Luis Chiozza , medico e psicoanalista argentino che ha introdotto il metodo dello studio patobiografico, ispiratore del libro, la malattia si comporta come l’oracolo di Delfi, che “non svela e non nasconde, ma significa”. Ogni malattia inoltre, realizza una fantasia inconscia specifica. A ciascuno la sua. E quel che significa Milani lo spiega alternando modelli di analisi, comparazioni tra medicina e psicoanalisi, le storie e il vissuto di suoi pazienti oncologici. Secondo la medicina si ammala un organo; il medico si comporta come un tecnico, un esecutore, non si chiede il perché ma focalizza l’attenzione su come procedere, dalla diagnosi in poi, attuando protocolli collaudati.

L’autore riflette che la medicina discende dalla fisica, la stessa  fisica del ‘900 che da Einstein in poi ci ha insegnato che non c’è uno scenario unico, ma il punto di vista dell’osservatore crea la realtà. Fisica, matematica, geometria, biologia oggi si muovono secondo questo punto di vista e spostando lo sguardo dagli oggetti singoli alle relazioni degli oggetti tra loro. Invece  “la medicina che pure ama ritenersi una scienza, continua a considerare l’oggetto del proprio interesse, l’uomo malato, come un’entità che non ha relazioni”. (pag. 81). Il malato è isolato dal suo vissuto, dalla sua storia fino  a diventare “un organismo, e poi un organo, e così via scindendo fino a una cellula o a un gene”. Secondo la psicoanalisi, tutte le malattie sono psicosomatiche, ci sono in gioco affetti rimossi, “stati emotivi che non riescono ad essere sentiti e vissuti come tale in maniera manifesta”, e scatenano la malattia. La medicina considera il soma, la psicoanalisi la psiche, occorre l’incontro, l’integrazione, la forma completa secondo il poeta Whitman, una nuova etica e il travaso di un nuovo umanesimo. Occorre dare senso e significato alla malattia. La responsabilità riguarda il paziente, ma anche il medico. Anche qui una nuova alleanza terapeutica e la ricerca di una forma completa: ”Questo processo di comprensione del senso, che passa attraverso la consapevolezza del senso di una storia di vita, avrà maggiore valore terapeutico per il paziente e maggiore soddisfazione per il medico”. (pag. 90). Nessuno è padrone in casa propria, diceva nonno Freud; siamo soggetti all’azione di forze che ignoriamo e viviamo “in un mondo di relazioni che iniziano dal nostro più remoto passato”, aggiunge Milani.

Il cancro “accade” quando le cellule si comportano in maniera “narcisistica”, secondo la psicoanalisi che contempla anche altre varianti. Le storie di pazienti, anche di uno eccellente come Tiziano Terzani, contengono allusioni a castelli, muraglie, prigioni, cerchi chiusi. La malattia è la condizione di chiusura narcisistica “rappresentata dalla corazza del granchio (che dunque ha lo stesso significato dei recinti, dei castelli, delle mura, che si ritrovano nei materiali clinici e nei sogni dei pazienti” pag 119).

La fantasia inconscia specifica del cancro è quella di un autofecondazione: “Potremmo dunque dire che il cancro simula un embrione deforme che cresce in modo rapido senza limiti spaziali e temporali: è come se una cellula si fosse fecondata da sola e da sola avesse innescato quei meccanismi che la portano a crescere all’infinito ignorando tutto ciò che la circonda”. (pag. 102). Oppure la fantasia scatenante è l’incesto, il “desiderio inconscio di accoppiamento con un membro della propria famiglia”. (pag 103).

La mitologia, poi, sembra combaciare con la concezione psicoanalitica che a sua volta illumina le storie di pazienti quando si parla di cancro alla mammella. Ecate, Demetra e Core rappresentano tre aspetti della femminilità: la luna, la madre, la figlia. Anche il mito delle Amazzoni (letteralmente donne senza mammelle) ci racconta una stessa modalità matrilineare, di una società matriarcale che esclude la presenza maschile, come nei vissuti femminili reali. E le pazienti sono “tutte pazienti che in fondo non riescono a lasciare la figura materna per andare verso la piena maturità e indipendenza: tutte come Demetra che non riesce a lasciare Core, come Core che non riesce a lasciare Demetra, come tutte e due che non riescono a separarsi da Ecate. Stare completamente con Ade non si può perché la vita con il dio degli inferi equivale a morire e allora la soluzione di compromesso è un’oscillazione tra queste due polarità: verso il maschile per un po’ e poi si ritorna verso il femminile”. (pag. 176).

Ma il dramma vero si basa su un equivoco di fondo: “Non è il maschile che equivale a morire, ma è proprio l’attrazione inconscia per la polarità femminile che porta verso una malattia che ha il significato della morte”. Le donne che non lasciano il versante materno, che prolungano fantasie prenatali di ritorno al grembo cadono nella malattia. Salutare  è la consapevolezza. Qualsiasi mancanza di integrazione provoca chiusura. Cercare e raggiungere la forma completa salva e fa risorgere secondo l’autore che cita una poesia di Walt Whitman: “La fisiologia da capo a piedi io canto, né la fisionomia da sola né il cervello da solo valgono per la Musa: io dico che la Forma completa vale di gran lunga di più, la Femmina e insieme il Maschio io canto”. La forma completa è “l’uomo nella sua integrità, senza scissioni, capace di entrare in relazione erotica con l’altro sesso e con il resto del mondo. La visione scissa, inevitabilmente, conduce al conflitto: dell’uomo contro il mondo, del maschio contro la femmina e della femmina contro il maschio e, in fondo, dell’uomo contro se stesso”. (pag 182).
La guarigione, come testimoniano alcune storie di pazienti oncologici narrate, arriva quando la propria verità appare limpida e chiara alla coscienza e la storia personale non è più subita come destino. Infine la guarigione è la salvezza dai salvatori, i terapeuti, secondo la brillante formula del filosofo di Emanuele Severino.

Titolo: Storie di psico-oncologia
Autore: Francesco Milani
Editore: Aguaplano
Dati: 2010, 208 pp., 15,00 €

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