Brevissimo aggiornamento sulla distruzione delle Indie

Cochabamba, Bolivia, anno 2000. Una troupe spagnola gira un film epico e coraggioso sulla conquista dell’America, la riduzione in schiavitù degli indios, il loro sterminio. Sebastián, il regista – con lo sguardo incantato di Gael García Bernal – è un idealista che da sette anni cerca di realizzare il sogno di portare sul grande schermo la storia poco conosciuta di padre Antonio de Montesinos, il primo che ebbe il coraggio di denunciare gli orrori della gloriosa impresa spagnola “nelle Indie” e la connivenza della Chiesa Cattolica. Montesinos – che pagò la sua onestà con la morte – ispirò la presa di coscienza del domenicano Bartolomé de las Casas, inizialmente lui stesso proprietario di schiavi, più tardi campione della causa india (difensore dell’argomento teologico che gli indios avessero, in effetti, un’anima e fossero quindi umani, non bestie) e autore della Brevissima relazione sulla distruzione delle Indie, forse il documento più importante alla base delle riforme legislative dell’imperatore Carlo V per l’abolizione della schiavitù.

L’intento di Sebastián è di realizzare un lavoro filologicamente fondato, basato su testi e testimonianze originali dell’epoca. Colombo per lui non è mai come ce lo raccontano in Italia: il sognatore indefesso che convinse Fernando e Isabella a finanziare il suo viaggio oltre le colonne d’Ercole, oltre i confini del mondo conosciuto, oltre la verità scientifica della Terra piatta; quello che Colombo cerca è l’oro da mandare ai suoi mecenati, costi quel che costi. E gli indios non restano indifferenti a farsi massacrare: resistono come possono e hanno un leader che si chiama Hatuey.


Il contraltare del regista è – come spesso succede nella realtà – il suo produttore, Costa (Luis Tosar); che ha scelto come location le montagne della Bolivia invece delle spiagge delle Antille (il 12 ottobre 1492 Colombo toccò terra in quelle che oggi sono le Bahamas) perché tutto lì è meno caro e con due miseri dollari al giorno il film può avere tutte le comparse che servono. Certo: gli indios boliviani sono quechua e non taini, ma quale pubblico europeo o nordamericano noterà mai la differenza nei loro tratti o quando recitano parlando la loro lingua? Budget batte filologia, si sa.

Fin qui la trama. Complicata dal fatto che proprio durante le riprese a Cochabamba scoppia una rivolta campesina contro la privatizzazione dell’acqua e a capeggiarla è Daniel, lo stesso indio che recita Hatuey; che, picchiato a sangue dalla polizia durante le manifestazioni e chiuso in carcere, non potrà girare la scena madre del film, rischiando così di far saltare tutta la produzione.
Le “meta-storie” non sono facili da gestire e Icíar Bollaín sicuramente azzarda: También la lluvia (che in italiano dovrebbe tradursi “persino la pioggia”) è un film su girare un film durante il quale si gira anche materiale per il back-stage; e soprattutto è un film in cui gli indios al tempo stesso guardano raccontare la loro storia e la rivivono oggi in versione “privatizzazione di beni essenziali”, una riedizione dei vecchi “aggiustamenti strutturali” degli anni Ottanta come (mutatis mutandis?) dell’originaria corsa all’oro dei conquistadores.

Potevano esserci troppi parallelismi, il risultato poteva essere scontato o banale. La narrazione, invece – grazie anche a un ottimo montaggio – si limita a suggerire discretamente allo spettatore le crepe su cui affacciarsi per non perdersi in questo racconto incrociato su molteplici livelli, in cui ogni personaggio è “se stesso” e anche il personaggio storico che interpreta, comprese le comparse.
La chiave di lettura più immediata è ovviamente quella di Hatuey/Daniel, l’indio che da cinque secoli resiste e verrà sempre sconfitto; ma non è l’unica possibile. E se il punto, invece, fosse proprio la coppia Montesinos/Las Casas che doveva essere al centro del film nel film? Non il colonizzato ma il colonizzatore; non “l’altro” – che sa perfettamente dove si trova – ma noi: col nostro idealismo da intellettuali, gli studi post-coloniali, la moneta forte come lasciapassare, siamo noi che rischiamo di perderci ogni volta che attraversiamo un confine; e ci ritroviamo, a volte, inaspettatamente diversi.

Gli scrittori e i registi spagnoli esplorano e pungolano senza remore la coscienza storica (a volte parecchio sporca) del loro paese, raccontando con grande sensibilità periodi e eventi controversi, del passato recente e più lontano. Come sarebbe in Italia un film sulla nostra storia coloniale, quella che nessuno racconta, che quasi nessuno ricorda più, e che pure inevitabilmente ritorna – corsi e ricorsi – nelle nostre notizie d’attualità: la Libia, l’Etiopia, la Somalia, l’Eritrea, l’Albania?
Per También la lluvia non è prevista al momento la distribuzione in Italia; per tutto il resto, rimaniamo in attesa di ispirazione.

 

También la lluvia, 2010
diretto da Icíar Bollaín
con Gael García Bernal, Luis Tosar, Carlos Aduviri e Karra Elejalde (premio Goya 2011 per il miglior ruolo secondario maschile, nella parte dell’attore che interpreta Colombo)
disponibile in DVD dal 15 giugno 2011